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Evra: "In ogni squadra almeno due gay. Ma se lo dici sei finito"

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Pubblicato 12/01/2022 alle 18:39 GMT+1

CALCIO - Nella presentazione della sua autobiografia in versione francese, Patrice Evra, ex terzino tra le altre della Juventus, conferma il tabù omossesualità nel mondo del calcio: "Ce ne sono almeno due in ogni squadra, ma se lo dici sei finito".

Patrice Evra has come to the defence of Pogba

Credit Foto Getty Images

L’omosessualità nel calcio maschile è ancora un tabù praticamente assoluto. E’ una cosa risaputa nell’ambiente. Ma a confermarlo è Patrice Evra, che in un incontro con i lettori del quotidiano Le Parisien volto a presentare la versione francese della sua autobiografia, ha svelato come in ogni squadra ci siano almeno due giocatori gay: “Nel calcio tutto è chiuso. Se da calciatore dici che sei gay, sei morto. Ricordo una volta venne una persona a parlare di omosessualità alla squadra. Certi colleghi dissero che l'omosessualità era contro la loro religione e che se c'era un gay in spogliatoio bisognava cacciarlo dal club. Io ho giocato con gay, ne hanno parlato con me, da soli, perché hanno paura di aprirsi pubblicamente. Ci sono almeno due gay per squadra. Ma nel calcio se lo dici sei finito”.

Abusi

Non solo questo però. Evra ha parlato nuovamente degli abusi subiti da ragazzino. Un argomento che aveva già toccato nella sua presentazione del libro in Inghilterra, dove il terzino francese ha passato gran parte della sua carriera, anche da capitano del Manchester United: “Devo testimoniare per spingere ragazzi e ragazze vittime di violenze a non chiudersi nel silenzio. L'ho raccontato non tanto per me, ma per chiunque si trovi nella mia stessa situazione di quando fui stuprato da 13enne. Ho tenuto dentro tutto per anni fino a quando, guardando una trasmissione televisiva sul tema, non scoppiai in lacrime e confessai tutto a mia moglie. Bisogna sempre parlare e denunciare chi commette tali atti, anche se i colpevoli sono dei familiari, per non vivere nel trauma”.

Razzismo

Infine, Evra ribadisce la sua battaglia contro il razzismo, bollando come insufficiente quanto fatto finora: “Quando è venuta fuori la storia della Superlega tutto il pianeta calcio ne ha parlato, con prese di posizioni radicali. Mi sono chiesto perché non si fa lo stesso per combattere il razzismo. Semplicemente perché non c'è in gioco denaro. Non è una soluzione vietare ai razzisti di andare allo stadio. Bisogna invece parlarne nelle scuole, nelle famiglie”.
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