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Caso Rafael Leão: il talento senza carattere non basta. E gli alibi sono finiti per l'attaccante del Milan

Roberto Beccantini

Aggiornato 15/04/2024 alle 13:22 GMT+2

CALCIO, SERIE A - Caso Rafael Leão che tiene sempre banco. Il talento portoghese ha potenzialità incredibili, ma pecca di continuità, non è ancora un fuoriclasse e spesso sotto porta si smarrisce. Titolarissimo nel Milan, ma non ancora nel suo Portogallo, dove c'è Cristiano Ronaldo. Ecco allora l'analisi di Roberto Beccantini, perché "una cosa è avere talento. Un’altra, scoprire come usarlo".

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Rafael Leão è ormai un caso periodico. In bilico perenne tra problema e soluzione, crivellato dai rimbrotti del fuoco amico (Mike Maignan) e dai proiettili di Antonio Cassano; offeso e difeso ferocemente dai Torquemada dei social; ostaggio delle edicole in base alle montagne russe che solca. Al Milan dall’agosto del 2019, il portoghese va per i 25 anni (li compirà il 10 giugno) ed è alto 1,88, un centimetro in più di Cristiano Ronaldo.
Non è un leader, non è un fuoriclasse, Leão: talvolta lo sembra; talvolta, viceversa, fa sembrare blasfemo il paragone. Salta l’uomo, e questo è un pregio; sotto porta, in compenso, si smarrisce, se non addirittura si placa, e questo è un (grosso) limite. Al massimo dei giri - la falcata, la finta, il dribbling, la sgassata in progressione - ricorda Ruud Gullit, il «cervo che esce da foresta» di Boskoviana memoria. In rossonero, non ha avuto che due allenatori: Marco Giampaolo per quattro mesi, Stefano Pioli dall’ottobre del 2019. Ha contribuito in prima persona allo scudetto del 2022, con 11 gol, e fissato a 15, nella stagione successiva, il tetto della carriera.
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Titolare nel Diavolo, ma non (ancora) in Nazionale, con la quale vanta 24 presenze e 4 reti, da Fernando Santos, il CT che lo sdoganò, a Roberto Martinez. La mattonella sulla fascia mancina, almeno in partenza, è la stessa di Cierre, 39 anni suonati. Ecco: nell’indicare confini e differenze, non si può non ribadire che a Leão farebbe comodo anche un solo granello della sua ossessione, della sua maniacale applicazione.
Sporting Lisbona, Lilla, Milan. Ha allungato il contratto sino al 2028, dettaglio ambiguo come ogni cavillo che riguarda le carte bollate. Una volta i re eravamo noi, oggi non più. Oggi lo sono la Premier, gli arabi, il Real, il Barcellona, il Paris Saint-Qatar e il Bayern. Dunque, guai a illudersi. Tutti abbiamo, e hanno, un prezzo. Incluso Leão. Specialmente adesso, con gli americani al comando e i match-analyst al governo. In chiave tattica, ha bisogno di un centravanti di riferimento, come lo è stato Zlatan Ibrahimovic e come lo è Olivier Giroud. Il ruolo, la posizione e le funzioni sono state concordate con il tecnico, nel solco delle note di Giorgio Gaber: libertà è partecipazione. Segua la bussola dell’istinto, Rafa, ma impari a essere più efficace, meno vanesio. Più ape, meno farfalla.
Non siamo mica in Inghilterra, nella Liga o in Germania, campionati decisamente più selettivi. Leão gioca in serie A, clinica di lusso per anziani (l’Ibra-bis e Cristiano, per tacere di Franck Ribéry, ricordate?) e rampa per giovani rampanti. Con Theo Hernandez ha cementato una delle coppie (di sinistra) più brillanti e suggestive dell’intero panorama. Una traccia che deve portare più lontano di quanto non suggeriscano i dibattiti. Leão corre e ancheggia sul filo degli eccessi. Contro la Roma, in Europa League, da tre in pagella; con il Sassuolo, domenica, da sette più. Per disinnescarne le fregole, a Daniele De Rossi bastò precettare Stephan El Shaarawy, ala di vocazione e terzino d’emergenza. Obiezione: a puledri quali Leão non puoi chiedere la continuità. D’accordo. Ma neppure il deserto. A maggior ragione, negli snodi cruciali del calendario.
Patti chiari: dipende da lui, l’ultimo balzo, non dalla sua Camelot. Non dagli schemi. Non dai tutori. Da lui. A furia di distribuire alibi, si rischia di acuire il malessere invece di debellarlo. Non sta scritto da nessuna parte che «uno» debba, per forza o per plebiscito, assurgere al rango di fuoriclasse. L’importante è che sfrutti sino in fondo i tesori che madre natura e zio destino gli hanno trasmesso. Aiutano a mischiare le frontiere: e con esse, i giudizi. Fidatevi, non è poco. Roger Miller, compositore e cantante Usa, ammonì: «Una cosa è avere talento. Un’altra, scoprire come usarlo». Parole sante.
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