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Gigi Buffon, il Nembo Kid dei portieri. Sempre protagonista, in campo e fuori

Roberto Beccantini

Aggiornato 02/08/2023 alle 23:04 GMT+2

SERIE A - Gianluigi Buffon è stato il portiere italiano del Duemila, così come Dino Zoff lo fu del Novecento. Dino si ritirò a 41 anni, Gigi a 45 dopo doglie interminabili. Chi scrive, nel 2006, era giurato del Pallone d'oro e votò primo proprio Buffon davanti a Fabio Cannavaro. Non fosse altro che per il mezzo miracolo sulla testata, quella buona, di Zinedine Zidane...

Buffon e le parate più belle: "Quella su Zidane mi ha cambiato la vita"

Gianluigi Buffon è stato il portiere italiano del Duemila, così come Dino Zoff lo fu del Novecento. Dino si ritirò la mattina del 2 giugno 1983, a 41 anni. Triste e immusonito: «Non posso parare anche l'età». Campione d'Europa e del Mondo: l'unico. Gigi ha deciso a 45 anni, dopo doglie interminabili. Campione del Mondo e vice campione d'Europa. Tra i due ballano dieci centimetri (1,92 a 1,82) e tredici chili (91 a 78). I piedi per un portiere, all'epoca del friulano, erano necessari ma non obbligatori. Oggi lo sono: e come. Capitan Silenzio e capitan Urlo: rimarrà nella storia il «bidone della spazzatura al posto del cuore» che Gigi scagliò contro Michael Oliver, arbitro di un Real-Juventus finito non proprio a tarallucci e inchino. Chi scrive, gli deve le emozioni di straordinarie parate: i tuffi dell'esordio, il 19 novembre 1995 al Tardini, in Parma-Milan 0-0. Il titolare, Luca Bucci, era infortunato. Alessandro Nista, la riserva, non convinceva. Nevio Scala pensò, così, al pupo. Non ne aveva ancora 17. E il balzo di Old Trafford, da juventino, sempre contro il Milan, nella finale di Champions del 28 maggio 2003, su una acrobazia aerea di Pippo Inzaghi. Non servì, visto l'esito dei rigori, ma restò.
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Esplosivo e bulimico, in campo e fuori. Tra diplomi fasulli, gaffe politiche («Boia chi molla»), investimenti sbagliati, scommesse obese, slogan ambigui («Meglio due feriti che un morto»). Dal Parma alla Juventus, nel 2001 e sino al 2018, e con Madama persino in B, attratto da un concetto di fedeltà non facile da tradurre: almeno con i nostri vocabolari. Una stagione al Paris Saint-Qatar, lontano dagli occhi e dal cuore (pure dal suo, temo), e di nuovo Juventus: gli ultimi spiccioli. Nel 2021, d'improvviso, la chiusura del cerchio e il ritorno a casa, al Parma, la città palestra.
Chi scrive, nel 2006, era giurato del Pallone d'oro e votò primo proprio Buffon davanti a Fabio Cannavaro. Non fosse altro che per il mezzo miracolo sulla testata, quella buona, di Zinedine Zidane. Finì al contrario, primo Fabio e secondo Gigi (come Zoff, nel 1973, dietro Johan Cruijff). La reattività e la potenza hanno incanalato e scolpito il suo stile, la sua caratura. Non gli alluci, al di là del tirocinio a centrocampo, da ragazzo. Ecco: Manuel Neuer lo batteva lì, palla al piede, lontano dalla porta, libero aggiunto. Gigi, in compenso, se lo mangiava fra i pali, là dove, finché ha saputo domare le rughe, sfoggiava arrembaggi felini, un po' Sandokan e un po' Salgari (per la voce narrante e salmodiante).
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Buffon: "Evoluzione? Il portiere bravo è colui che para bene!"

Tutto il mondo è cambiato attorno al suo, da Internet alle relazioni internazionali. Un crac tremendo si è portato via la Parmalat e Calisto Tanzi, il presidente del Consiglio è una donna (di destra come lui), Giorgia Meloni. Non ci sono più Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli. È morto Silvio Berlusconi. Si è spenta la luce di Luisito Suarez. Quando Gigi cominciò, il regolamento premiava le difese e i portieri: la gamba, se la spaccava il milanista Bruno Mora, non Giuseppe Spalazzi, numero uno del Bologna. Dopo il Novanta e la rivoluzione blatteriana, la testa se l'è rotta Petr Cech, guardiano del Chelsea, non l'investitore, Stephen Hunt del Reading.
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Il confine esistenziale di Zoff era la partita. Non di Buffon. Di Carrara come il marmo, ma non di marmo in barba alle apparenze. Soggetto a periodiche depressioni, questo mal sottile che se ne fotte dei gradi e dei gradini, delle gerarchie e delle geografie. Ossessionato dai record, che ha raccolto a guanti bassi, fra scudetti (dieci) e presenze (176 in Nazionale, 5 Mondiali, eccetera) è stato sempre sé stesso. Un guascone in bilico perenne tra vitalità e vita, non certo un santo, agitato dall'aura pericolosa, e spericolata, di sfidarsi. Comunque e dovunque. A costo di rigare il profitto e sporcare la condotta.
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Diventare testimonial di qualcosa, o di qualcuno, dopo essere stato protagonista di tutto e per tutti, non è semplice. Se per vincere la carriera ci vuole talento, a vincere il dopo ci vuole saggezza, bisogna andare oltre. Specialmente se sei stato uno dei più grandi e, da «grande», ti guardi in giro e scopri che uscire di pugno non basta più. C'est la vie, dicono i francesi. Sì, ma quale?
Per commentare o fare domande potete inviare una mail a roberto.beccantini@fastwebnet.it o visitare il blog di Roberto Beccantini: www.beckisback.it.
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Buffon: "Carnesecchi prospetto da big ma Juve ha già 2 portieri enormi"

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