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Juventus e Milan per salvare il salvabile: Allegri e Pioli alla frutta, ma Max rischia di più

Roberto Beccantini

Pubblicato 26/04/2024 alle 14:55 GMT+2

CALCIO, SERIE A - Juventus-Milan è la prima partitissima dopo la "fine" del campionato, dettata dal 20° Scudetto dell'Inter. La Signora e il Diavolo ci arrivano quasi al termine di due percorsi non positivi, ma a rischiare di più sono i bianconeri (e Max Allegri), mentre i rossoneri (e Stefano Pioli) paiono avere più attenuanti. Juventus-Milan costituisce una mina vagante. L'analisi di Beccantini.

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Se il derby di lunedì era strano per la montagna di stelle che lo sovrastava, Juventus-Milan di sabato si annuncia non meno singolare. Tanto per cominciare, è la prima partitissima in onda dopo la «fine» del campionato. Sono inoltre società che, in passato, civettavano giulive. Sino, narrano i Pigafetta d’epoca, alle zuffe di Calciopoli, con la Triade e Adriano Galliani non più compari di merende ma bande litigiose e rancorose.
All’andata, quando ancora il panorama prospettava un equilibrio degno della Premier, vinse Madama: 1-0, gol di Manuel Locatelli. Pagò, il Diavolo, la gran parata di Wojciech Szczesny su Olivier Giroud e il rosso di Malick Thiaw, coricato in dribbling da Moise Kean (do you remember?), già al 40’. Era il 22 ottobre, nona giornata, e la classifica dettava: Inter 22, Milan 21, Juventus 20. A rileggerla oggi, ha l’aria di una presa in giro, visti i distacchi accumulati: Inter 86, Milan 69, Juventus 64.
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Si recita in condizioni di assoluta emergenza e ambigua effervescenza. La Vecchia arriva dal 2-2 di Cagliari, sintesi di un primo tempo penoso e di un secondo a pelo di sufficienza, e dalla sconfitta indolore di Roma, con la Lazio, che le ha garantito comunque la finale di Coppa Italia, unica stampella alla quale aggrapparsi per salvare il poco salvabile di una stagione francamente moscia. Gli allenatori sono ormai alla frutta: sia Massimiliano Allegri, il cui mandato-bis ha riportato indietro le lancette del gusto, sia Stefano Pioli, cui Gerry Cardinale e Zlatan Ibrahimovic, voce e smorfie del padrone, non perdonano i sei derby persi su sei e il fatto di essere uscito da tutto: scudetto, Coppa Italia, Champions sul campo, Europa League.
Non rimane che la zona Champions, in pugno da mesi, obiettivo che coinvolge e angustia, in particolare, gli avversari: finalisti di coppa, sì, ma minacciati da Bologna, Roma e Atalanta. I posti sono cinque, addirittura. Occhio, però, all’andamento della Juventus dal 27 gennaio, 1-1 con l’Empoli, al 19 aprile: dodici punti in dodici gare, ritmo da «paesi» (molto) bassi. A Pioli mancheranno Theo Hernandez, Davide Calabria e Fikayo Tomori, squalificati. Non esattamente statuine del presepe. Allegri, lui, non denuncia gravi defezioni.
La mossa di Rafael Leao «falso nueve» non ha scombinato la trama. Così come non si sono colte bollicine nella sbobba juventina di martedì. Di tridente non si parla, guai, e dunque o Federico Chiesa o Kenan Yildiz. Positivo, se non altro, il ritorno al gol di Arkadiusz Milik. Ma in generale siamo sempre lì, in attesa che si accenda qualcuno o succeda qualcosa (succederà, succederà: e riguarderà il manico).
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Immagino che non vi siate persi, al momento della sostituzione, l’isterico invito alla «halma» rivolto da Andrea Cambiaso al Feticista. La biscia che si rivolta al ciarlatano, stando alle metafore care allo slang di Arrigo Sacchi. Che poi proprio i subentrati - Timothy Weah, Milik - abbiano confezionato la rete scaccia-disastro, è un dettaglio che appartiene ai capricci degli dei e, forse, al fiuto degli uomini.
Se Giroud ha «scoperto» e scelto l’America, Pioli e Allegri devono far tesoro degli spiccioli scivolati dal borsellino di Simone Inzaghi. C’è una differenza: Max sembra esaurito e finito; Stefano, viceversa, semplicemente confuso. Senza trascurare gli effetti dei triboli societari e l’incidenza di strutture operative che necessitano di revisioni urgenti, dal ruolo di Ibra alle «veline» di Cristiano Giuntoli. Ci sarebbero poi i giocatori, con i loro su e i loro giù, da Leao a Chiesa e Dusan Vlahovic. Per tacere di Bremer, l’ombra del muro che fu. Juventus-Milan costituisce una mina vagante che, in via eccezionale, sfugge alla storia e incalza la cronaca. A cinque tappe dal traguardo, rischia di più l’ex Tiranna.
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