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Nations League, la preview di Ungheria-Italia: da Raspadori al giallo Immobile: fra speranze e le solite "storie"

Roberto Beccantini

Pubblicato 26/09/2022 alle 14:45 GMT+2

NATIONS LEAGUE - Per approdare alle Final Four di Nations League serve una vittoria sul campo di un'Ungheria che potrà avere due risultati su tre a disposizione e il tifo del pubblico amico. Affrontiamo una squadra tecnica e tosta e ci affidiamo a Raspadori, paragonato già un incrocio fra Tevez e Aguero dopo il bel gol all'Inghilterra. Mamma mia...

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Contrordine. Al diavolo le cinque "lattine" di Moenchengladbach serviteci dai tedeschi. Evviva Giacomo Raspadori, 22 anni, bolognese di Bentivoglio e Giacomo come Bulgarelli, la bandiera del Bologna che il super-tifoso Gino Villani celebrava, urlando nel megafono, dai distinti del vecchio Comunale: "Onorevole Giacomino, salute!". E dal prato - immancabili - si alzava un braccio, si accendeva un sorriso.
Così transita la gloria del calcio, dolce e fatua, rumorosa ed effimera. L’1-0 all’Inghilterra - introdotto dal lancio di Leonardo Bonucci e firmato dal palleggio-arresto-tiro del giovanotto - ci permette di andare a caccia della fase finale della Nations League, l’ultimo tesoretto. Si decide tutto lunedì 26 settembre a Budapest, contro l’Ungheria di Marco Rossi, squadra che gli inglesi li ha battuti sia in casa sia fuori (per 4-0) e, sempre in trasferta, ha sconfitto persino la Germania. Occhio, dunque. All’ambiente, all’orgoglio di una scuola che tracciò la rotta di un’epoca, alla necessità di salvare il salvabile dopo il disastro macedone e la seconda bocciatura mondiale.
Mentre al festival della "Gazzetta" di Trento, Gabriele Gravina e Urbano Cairo discettavano di buon governo e di ricavi, il giallo di Ciro Immobile conferma la precarietà del sistema e gli appetiti di coloro che, dal pulpito o nell’ombra, lo orientano. Risparmiato venerdì per problemi muscolari e arruolato per il blitz odierno, il centravanti è stato bloccato da Claudio Lotito, padre-padrone della Lazio, la società che lo paga. Dalle "fughe" di Stefano Sensi alle bizze di Moise Kean, e al netto delle veline e delle mozioni di buoni sentimenti, la Nazionale continua a essere figlia di nessuno. Salvo quando s’illumina di Mondo o d’Europa.
Si gioca più che in passato, i calendari sono intasati, la maglia azzurra pesa sempre, per carità, ma sempre meno. Gli infortuni vaganti, al di là dei risarcimenti pattuiti dalla Fifa, costituiscono scenari ambigui e pericolosi. I giocatori del Duemila non hanno il carattere di quelli del Novecento, penso a Gigi Riva, a Gianni Rivera, a Sandro Mazzola. Hanno paura di esporsi, temono rappresaglie e, per questo, lasciano fare agli agenti, ai familiari. Il caso Immobile è l’iceberg, non la punta. I club sono cecchini che mirano dai tetti degli ingaggi, pronti, alla prima "bua", a invocare diserzioni cautelative.
E avanti, allora. E’ il circolo dei pochi ma fieri di esserci. Lele Adani ha paragonato Raspadori a un mix fra el kun Aguero e Carlitos Tevez: mamma mia. Grazie al cielo si è scordato "predestinato". Porta una iella che non immaginate. Il tutto, per un gol (bellissimo, sia chiaro). Il quarto in azzurro. A Napoli gongolano. A Sassuolo, dove crebbe, gonfiano il petto. C’è poi un altro dettaglio. Il modulo di gioco. Roberto Mancini ha abbandonato il 4-3-3 per il 3-5-2. E’, quest’ultimo, lo schema che i fusignanisti aborrono perché toglie piedi al centrocampo. Lo lanciò, in tempi non sospetti, il Big Parma di Nevio Scala. Lo ripresero Walter Mazzarri a Napoli e Antonio Conte alla Juventus, all’alba del Novennio. L’Atalanta di Gian Piero Gasperini gli deve i bollori della scapigliatura. L’hanno usato addirittura Pep Guardiola al Barça e al City, Thomas Tuchel al Chelsea, Louis Van Gaal all’Ajax e con l’Olanda, terza (e imbattuta) ai Mondiali del 2014. Insomma: fior di scienziati.
Il 7 giugno, a Cesena, Italia-Ungheria finì 2-1. Gol di Nicolò Barella e Lorenzo Pellegrini, autorete di Gianluca Mancini. I meriti soverchiarono lo scarto. I capricci del destino ci inseguono e perseguitano. Rossi ha trasformato la cruda gavetta in fecondo laboratorio, i magiari - da Dominik Szoboszlai ad Adam Szalai - sono tecnici e tosti. Potranno anche pareggiare. Un vantaggio per noi, storicamente in crisi di fronte all’agio delle scelte. Dobbiamo vincere, meglio così.
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