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Gino Bartali il campione del Giro d'Italia, il Giusto tra le nazioni, l'eroe di tutti

Fabio Disingrini

Aggiornato 05/05/2020 alle 09:27 GMT+2

Storia d’amore in un paese di guerra. Di quando Gino Bartali salvò la vita di centinaia di ebrei pedalando ogni giorno da Firenze ad Assisi. Di quando sfidò i soldati nazisti nascondendo documenti falsi nel telaio della bicicletta: era già un campione amato da tutti che voleva una medaglia (segreta) da appendere al cuore. Oggi che è l'anniversario della sua morte, lo ricordiamo così eroicamente.

Photo prise le 18 juillet 1938 à Marseille, du coureur italien Gino Bartali, félicité par son directeur sportif Costante Girardengo après sa victoire à l'arrivée de la 11ème étape du Tour de France, disputée entre Montpellier et Marseille

Credit Foto Getty Images

C’era una volta un campione del ciclismo che pedalava fra le macerie di un paese distrutto. S'alzava in piedi sui pedali e si buttava in picchiata giù dai monti, e si fermava ai posti di blocco dei soldati invasori. Capitava che questi volessero stringergli la mano, abbracciarlo, persino farsi una foto insieme perché lui era il campione e aveva già vinto tutto: due Giri d’Italia, il Tour de France, due Milano-Sanremo, tre Lombardia.
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Gino Bartali, quel Tour de France vinto nel 1948 con l'impresa a Lourdes

Aveva già vinto e rivincerà tutto, però intanto le sue strade sono vene aperte nei giorni della Resistenza e il campione s’allena, macina centinaia di chilometri, sale in sella a Ponte a Ema che è il suo paese nativo, ma deve fare il giro lungo perché il ponte per l'Impruneta è stato bombardato dalla Royal Air Force. Dorme a casa dei genitori perché nella sua c’è una famiglia di ebrei che si nascondono dai rastrelli dei nemici. S’alza prima dell’alba e pedala tutto il giorno il nostro campione, scala gli Appennini curvo sul manubrio, va fino ad Assisi e torna indietro per Firenze.
Quanta strada nei miei sandali / Quanta ne avrà fatta Bartali / Quel naso triste come una salita / Quegli occhi allegri da italiano in gita. (Paolo Conte, Bartali)
Sono circuiti durissimi di trecento chilometri e chissà quando si rifaranno le grandi corse, chissà quando finirà la maledetta guerra. Il campione s’allena e questo giro lo ripete così tante volte, eppure va per i trent’anni ed è ricco ed è famoso. Ha vinto tutto ma pedala sulla strada del coraggio e sotto la sua sella ci sono i documenti che salveranno centinaia di ebrei dall’olocausto. Il campione li va a prendere mei monasteri francescani di Assisi, li infila nascosti nel tubo del telaio e li porta a Firenze: qui il rabbino e l’arcivescovo della città consegnano i falsi passaporti a chi deve partire per la promessa Svizzera, per non morire in un campo di sterminio.
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Italian Gino Bartali rides uphill in the Col de la Forclaz on his way to winning the 15th stage of the Tour de France between Aix-les-Bains and Lausanne on July 18, 1948

Credit Foto Getty Images

Talvolta si spinge fino a Genova. Il campione tesse una rete di salvataggio contro quel plotone d’esecuzione che invece gli chiede l’autografo, anche se gli capita un ufficiale della Wehrmacht che vuole percuisirgli la bicicletta: "Per favore non me la smontii! Ho gli assetti da gara, devo allenarmi per il prossimo Giro". Così il soldato tedesco gli crede e lo lascia passare in assetto da eroe partigiano, scalatore cattolico, Giusto tra le nazioni.
Il campione è Gino Bartali è questa è una storia d’amore in un paese di guerra. Una storia che nessuno conosce perché il rabbino Nathan Cassuto del comitato DELASEM (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei) viene arrestato e tradotto ad Auschwitz nel 1945, morendo pochi giorni dopo nel campo di Gross Rosen. Il cardinale Elia Dalla Costa, che è suo amico di lunga data, custodirà invece “il segreto” perché "ll bene si fa ma non si dice e certe medaglie s’appendono all’anima, mica alla giacca".
Bartali (Eurosport)
Sono le parole di Ginettaccio e le dirà ai giornalisti che l’incalzano per sapere quando questo magnifico romanzo sarà pubblicato: quel giorno Bartali s’è già passato la borraccia con Fausto Coppi sul Col du Galibier (Tour de France, 4 luglio 1952) in un gesto così umano fra i due miti del ciclismo popolare di un paese che si sta rialzand, un istante fissato nella foto del secolo di Carlo Martini, reporter della Omega Fotocronache.
Prima ancora, ma dopo la nostra storia, Bartali rivince il Tour de France mentre l’Italia protesta per l’attentato a Togliatti. La gente è in piazza e tira un'aria di guerra civile, però giunge la notizia di Ginettaccio in trionfo sugli Champs-Élysées. È qui che passa perfino inosservato un carro armato in Piazza Duomo con l’effigie dell’Armata Rossa. Oggi che le strade rosa del Giro d’Italia si snodano per le vie di Gerusalemme - la città sacra delle tre religioni, simbolo umanitario del Golgota, del Muro del Pianto e della Spianata delle Moschee - Gino Bartali è il Giusto di tutti, cittadino onorario di Israele dal 2 maggio 2018, insignito in mezzo ai nomi dei 26mila eroi della resistenza ebraica.
Questa storia d'amore in un paese di guerra è diventata Gino Bartali, mio papà, il libro di Andrea Bartali. "Lo farai quando sarà il momento" diceva con quello sguardo severo, ma con se stesso, di chi appagato mai e "L'è tutto sbagliato, tutto da rifare". Con la forza del passato più atroce per migliorare di molto un presente di pace, perché chi salva una vita salva il mondo e oggi che è l’anniversario della sua morte, Gino Bartali sarà per sempre il nostro eroe campione.
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