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Giro Rewind: da Madonna di Campiglio all'inferno, il 5 giugno 1999 "moriva" Marco Pantani

Marco Castro

Aggiornato 21/10/2020 alle 11:26 GMT+2

Ventun'anni fa, il Pirata veniva estromesso da un Giro già vinto per un livello di ematocrito troppo alto. Da quel giorno entrò in un tragico vortice che si concluse nel 2004, con la morte di uno degli sportivi italiani più amati di sempre.

Pantani

Credit Foto Eurosport

Raramente l’apogeo nella carriera di un ciclista è coinciso con l’inizio della picchiata verso il buio più totale. Viene in mente quanto occorso a Floyd Landis: nella 17esima tappa del Tour 2006, lo statunitense dipinse un'impresa a Morzine, ma quel successo, la sua vittoria finale e la stessa presenza alla Grande Boucle dell’ex gregario di Armstrong furono cancellate dagli almanacchi per doping e lui sprofondò senza più riemergere. Ma è anche il caso di Franck Vandenbroucke, che dopo la sfavillante vittoria alla Liegi del 1999 piombò in una crisi misteriosa che lo portò all’anonimato proprio quando la sua carriera doveva esplodere, fino alla tragica morte dieci anni più tardi. Nessuno, però, ha vissuto questo fato in maniera più tragica di Marco Pantani. Fu nel 1999 che il Pirata conobbe la sua fine. Come Icaro, volando così in alto da bruciarsi col sole.
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24 anni fa l'impresa di Pantani a Oropa: rivivi la rimonta

Cinque milioni di italiani erano seduti davanti alla televisione quel venerdì pomeriggio, per guardare il finale della 20esima tappa del Giro d’Italia ed essere testimoni del nuovo trionfo di quel folletto in rosa. Aveva già conquistato tre tappe con arrivo in salita, ma a Pantani non bastava. E sulla tortuosa strada verso Madonna di Campiglio schiacciò ogni avversario. Era tutto pronto per la festa del secondo Giro consecutivo. Il Pirata era un semidio che si sentiva in grado di sconfiggere chiunque. Eppure, nel giro di una notte cambiò tutto. La mattina, prima del via della penultima tappa, un terremoto scosse Campiglio, il ciclismo e il mondo dello sport: Pantani non partiva, Pantani era espulso.
Questa è la storia di come lo zenit di un uomo sia stato anche la sua rovina.

Fenomeno fuori dal tempo

Una sagoma da 172 centimetri di altezza per 57 chilogrammi. Pantani era passato professionista nell’agosto 1992, quando sul suo cranio sventolavano ancora dei capelli ricci e castani. Le sue prime vittorie di peso erano arrivate due anni più tardi, al Giro, dove si era imposto a Merano e all’Aprica, chiudendo secondo nella generale. A luglio, poi, si era preso la maglia bianca al Tour. Nel 1995 si era imposto sull’Alpe d’Huez, dove nel 1997 avrebbe segnato un tempo record che resiste ancora oggi. In autunno, però, un brusco stop: un tremendo incidente con una macchina alla Milano-Torino l'aveva costretto a saltare l’intera stagione 1996 e fatto temere per la fine di una carriera in rampa di lancio. Ma Pantani tornò, eccome se lo fece. Al Tour del 1997 vinse altre due tappe e chiuse terzo in classifica dietro a Ullrich e Virenque. Nel 1998 l’anno di grazia che risplenderà in eterno, con la doppietta Giro-Tour che da allora non ha avuto repliche.
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Marco Pantani - Castelfranco Veneto-Alpe di Pampeago - stage 19th Giro d'Italia 1999 - Imago pub not in FRA

Credit Foto Imago

I progressi della tecnologia e la crescita di specialisti delle cronometro, sull’onda di quanto fatto da Miguel Indurain, stavano delineando un nuovo genere di atleta. Ma in Marco Pantani, con la sua teatralità nelle salite più dure e nel suo rappresentare la purezza dello scalatore, l’Italia aveva trovato qualcuno in grado di splendere in montagna come aveva fatto Fausto Coppi 50 anni prima.
Sembrava così leggero e fragile, così provato, ma quando arrivavano le montagne sprigionava potenza [John Foot, storico]
Matt Rendell ha descritto Pantani come una sorta di George Best, un anticonformista che sgorgava personalità in tutto ciò che faceva. “Non c’era niente di paragonabile nell’intero ciclismo, niente di più eccitante di vedere Pantani in azione. Non potevi perderti nemmeno un secondo” Sempre Rendell disse che sia Pantani che i suoi fan erano inebriati dal suo dominio. “C’era una sorta di stato estatico, quasi infantile, in cui entravi mentre lo guardavi e aspettavi un attacco. Era un film di Superman, come guardare qualcuno con poteri sovrumani”.

Il dominio al Giro 1999

Cinque giorni dopo la Grande Partenza da Agrigento, fu Laurent Jalabert il primo dei favoriti a vestire la maglia rosa, grazie al successo sulle colline calabresi. Il suo primato non durò a lungo. Nell’ottava tappa, c’era il primo arrivo in salita, sul Gran Sasso. E Pantani piazzò il suo primo sigillo, vincendo in solitaria. Ma Jalabert si riprese subito la maglia di leader grazie alla cronometro di 32 km di Ancona. Quel giorno Pantani finì terzo a 55 secondi e davanti a molti specialisti, per la sorpresa di molti. Dopo cinque tappe in maglia Mercatone Uno, il Pirata tornò a vestire la rosa grazie al secondo posto dietro a Savoldelli a Borgo San Dalmazzo. Il giorno dopo ci fu una delle sue vittorie più iconiche: la rimonta senza uguali verso la gloria di Oropa. Superando 48 corridori dopo il salto di catena e sotterrando Jalabert, incredulo quando Pantani lo riprese. Il francese provò a tenere la ruota di quell’uomo posseduto, ma invano.
Se non mi fossi spostato mi sarebbe passato sopra [Laurent Jalabert ad Oropa]
In seguito Pantani disse di non aver festeggiato quel capolavoro perché non era sicuro di aver vinto. Jalabert vinse la tappa di Lumezzane e limò 57 secondi a Pantani nella crono di Treviso. Ma nella frazione con arrivo all’Alpe di Pampeago, il Pirata diede una spallata tremenda alla corsa. Annientò ogni rivale e si prese anche la maglia ciclamino. Ma non era ancora sazio.

Tappa 20: Madonna di Campiglio

A due tappe dall’epilogo di Milano, il Giro doveva vedere ancora una fuga andare in porto. Quel giorno, ci provarono lo svizzero Richard e il colombiano Buenahora. Sulle pendenze verso Madonna di Campiglio, i due ci stavano ancora credendo. La loro speranza era che Pantani fosse appagato dopo il margine accumulato in classifica e lasciasse spazio agli attaccanti. Un pensiero ottimista. Buenahora aveva appena staccato Richard, quando Pantani salutò la compagnia del gruppo e attaccò. Gilberto Simoni provò a resistere, ma senza successo. Marco divorò gli ultimi 4 km danzando sulla sella. Anche Buenahora resistette appena 100 metri sulla sua scia.
Per chiunque non si chiamasse Pantani si trattava solo di limitare i danni. Lui era su un altro pianeta. Guadagnò altri 67 secondi su tutti, firmando il suo quarto successo in quel Giro. Ora aveva 5 minuti e 38 su Paolo Savoldelli. Richard se la prese un po’ per quella tirannia, ma Pantani rispose: “Se non l’avessi battuto io l’avrebbe fatto qualcun altro” e poi aggiunse: “Non sono il pilota di Jalabert attraverso le montagne, quindi me ne sono andato. E da solo stavo ancora meglio, ero in uno stato di grazia. È solo un peccato che la salita non sia stata più ripida”. Per i fan di Pantani quanto visto al Giro 1999 fu una delle più grandi dimostrazioni di forza da parte di un ciclista. Per molti altri, invece, questa sinfonia solitaria stava diventando un po’ noiosa. “Inebriati da Pantani”: la Gazzetta dello Sport stava preparando la sua prima pagina quella sera. E quel giornale stava ancora viaggiando verso Madonna di Campiglio il pomeriggio seguente, mentre il Pirata lasciava l’hotel in disgrazia. Non verso Gavia e Mortirolo, ma verso la sua casa di Cesenatico, dove avrebbe visto qualcun altro vincere il Giro.
Quel che successe in quelle ore, in quei momenti, fu ed è oggetto di ampia letteratura. La sera della vittoria, Pantani e il suo team arrivarono all’Hotel Touring di Madonna di Campiglio. Ampiamente criticato per una vittoria che in molti pensavano dovesse lasciare ad altri, il Pirata era scuro in volto. E si dice che addirittura qualcuno del suo entourage gli abbia detto: “Ma cosa hai fatto?” I test antidoping del Giro si tenevano al vicino Hotel Majestic. C’erano stati 15 test casuali – risultati tutti negativi – la mattina prima della 20esima tappa, prima di altri test la mattina seguente. Pantani era ancora sveglio dopo la mezzanotte e stava mangiando un piatto con 400 grammi di riso al ristorante dell’hotel. Un amico gli chiese se fosse preparato al test e lui rispose: “Certo che siamo pronti, pensi sia stupido? Ho già vinto il Giro. E per essere sicuri, controlliamo.” Usò quindi il suo contatore personale e il risultato disse che il suo livello di ematocrito era del 48,6%. Pericolosamente alto, ma dalla parte giusta delle linee guida.
Vedi? È tutto regolare.
In assenza degli attuali test per l’EPO, un elevato livello di ematocrito veniva presa come un’evidenza del suo utilizzo ed abuso. Una linea arbitraria del 50% di globuli rossi da non superare fu stabilita alla fine degli anni ’90 per indicare la presenza di EPO nel sangue. La regola era stata fissata per evitare infarti ed ictus ai corridori, ma in realtà era anche un avvertimento per tutti coloro che stavano imbrogliando. La mattina seguente, Pantani e altri nove corridori furono svegliati da un gran bussare alle 7.15. Pantani fu testato alle 7.46. Il test – che in seguito Pantani descriverà come "un imboscata più che un controllo sanitario” – diede l’esito: 52%. Fu informato del risultato alle 9.40 e l’annuncio fu dato alle 10.12, 38 minuti prima del via ufficiale della penultima tappa. Il re era nudo.
In accordo con le regole dell’UCI, Pantani fu squalificato dalla corsa e sospeso per 15 giorni. Distrutta, anche la sua Mercatone Uno decise in blocco di non ripartire. Sostenendo di essere vittima di un complotto, il Pirata si infuriò e prese a pugni la finestra dell’hotel, prima di andarsene alle 13.22. Scortato dai poliziotti attraverso la massa di giornalisti e fotografi, un Pantani stordito, con la barba incolta e una mano insanguinata disse che stava succedendo “qualcosa di strano”, sostenendo che stavolta aveva “toccato il fondo” e che “questa volta non mi rialzerò più”, facendo riferimento ai suoi ritorni del passato dopo gravi infortuni. Fu portato a Imola dal suo direttore sportivo, Giuseppe Martinelli. Qui Pantani disse di essersi recato presso un ospedale per testare di nuovo il suo ematocrito e che il risultato fu del 47-48%. La Mercatone Uno emise un comunicato che metteva in discussione la competenza dei tester del Giro. Ma Giorgio Squinzi, patron della Mapei, dichiarò: “è stata giustizia umana e divina”.
Il fenomeno doveva esplodere prima o poi [Giorgio Squinzi, patron Mapei]
“Ho avvertito l’UCI quattro anni fa. Non possiamo continuare con questi inganni e questa ipocrisia. L’ematocrito dei miei corridori è di circa cinque punti inferiore alla partenza da Agrigento. Se qualcuno ha il 50% a due giorni dal termine vuol dire che sta usando delle “ricariche”. Se i test indipendenti sui campioni hanno mostrato che non c’erano stati errori, ciò non pose fine al discorso di un complotto per negare a Pantani quel Giro d’Italia. Dopotutto, emerse che non solo la squadra sapeva che lui sarebbe stato testato al mattino, ma molti dissero di aver sentito voci la sera prima sul fatto che sarebbe stato squalificato.
L’anno dopo hanno capito che fare solo quest’esame era un po’ poco, bisognava considerare il livello di ematocrito ed emoglobina. Se l’avessero fatto anche nel 1999 Pantani sarebbe risultato a norma [Beppe Conti]
Ma quello che è successo quella mattina resterà per sempre un mistero. Ci sono tantissime tesi in conflitto e l’unico che potrebbe mettere le cose in chiaro non è più tra noi. C’era chiaramente una frustrazione crescente da parte di ricchi sponsor per il dominio di Pantani di quell’anno. Si è persino parlato del coinvolgimento dei bookmakers e della mafia. E in effetti, anni dopo, un informatore della mafia dichiarò che era stato tutto truccato dalla Camorra per un giro di scommesse. Una cosa, però, è certa: Marco Pantani non fu più lo stesso ciclista – né uomo – da quel giorno.

Cosa successe dopo

Disegnata su misura per assistere a un altro colpo di classe del Pirata, la tappa regina con Tonale, Gavia, Mortirolo e Aprica si tenne all’ombra di una rumorosa assenza e di pesanti nuvoloni. E dall’Italia si levò un’onda di incredulità: come poteva l’idolo di così tante persone aver barato? Dal gruppo ci furono gesti di solidarietà. Savoldelli si rifiutò di indossare la maglia rosa che a quel punto gli spettava, come fatto 30 anni prima da Felice Gimondi nei confronti di Eddy Merckx. “Per me Pantani è pulito” disse il Falco bergamasco.
La corsa è andata avanti come un pollo senza testa…a ritmo funebre [Gianni Minà]
Heras vinse la tappa davanti a Simoni e Gotti, che avevano forzato il ritmo sul Mortirolo. In cima alla mitica salita i tifosi avevano preparato uno striscione: “Pantani facci sognare”. Savoldelli cedette e la maglia rosa passò a Ivan Gotti, che in quelle settimane era stato molto regolare pur senza dare spettacolo. Gotti arrivò in rosa Milano, concedendo il bis dopo il Giro vinto su Tonkov nel 1997. (Quell’anno Pantani si era ritirato dopo essere stato protagonista di un incidente a causa di un gatto). Seguivano Savoldelli, Simoni, Heras e Jalabert.
La vittoria ormai inaspettata di Gotti non fu mai veramente apprezzata da tanti appassionati e mentre indossava la rosea all’Aprica arrivò anche qualche fischio. Eppure, in qualche modo, era riuscito a vincere quando tutti credevano di correre ormai solo per il secondo posto. Di certo Gotti in maglia rosa non era la storia che i giornali bramavano raccontare. La Stampa, il giorno dopo, titolò così: “È la fine del ciclismo per come lo conosciamo”.
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Marco Pantani al Giro d'Italia nel 1998

Credit Foto Getty Images

Della Top 10 finale di quell’anno, molti furono coinvolti in seguito in scandali legati al doping, più o meno rumorosi. Come uno schiaffo in faccia a Pantani e ai suoi tifosi. Colin Brien scrisse: “Se fosse sporco, non potrebbe essere più sporco di quelli che lo circondano”. Pochi giorni dopo, quattro ciclisti furono espulsi dal Giro di Svizzera per ematocrito alto. Sembrava che la lezione non fosse servita.

La discesa di Pantani agli inferi

Il 9 giugno, due giorni dopo la fine del Giro 1999, Pantani tenne una surreale conferenza stampa in cui nessuno gli fece davvero la domanda da un miliardo di vecchie lire: aveva davvero preso l’EPO? Nello stesso periodo Marco rilasciò una lunga intervista a Gianni Minà in cui raccontò la sua verità ed espose il suo stato d’animo.
Rabbia, frustrazione, vergogna…sono…sono alcune delle sensazioni che hm…eho dentro. Il fatto che…che avevo vinto un Giro d’Italia…ehm credo in maniera impeccabile, dopo tanto lavoro…Trovarsi davanti a un verdetto di questo tipo è certamente una doccia fredda e…qualcosa che ti colpisce nel tuo…nel tuo…morale…nella tua anima. Certamente non è un momento facile in cui…non è l’incidente, l’incidente…è paragonabile a un incidente ma…credo che questa volta ripartirò da molto più in basso
In un’intervista successiva, più lucida, Pantani negò categoricamente di aver avuto a che fare col doping. “Puoi escluderlo completamente, sono pulito. Il mio morale è a terra, ho bisogno di tempo per pensare. Non capisco come sia successo e prima di rimettermi in sella devo sapere. Per vincere non ho bisogno di droghe ma di montagne”. Il regolamento permetteva che il Pirata tornasse in sella dopo due settimane e questo gli avrebbe permesso di difendere la maglia gialla vinta al Tour l’anno prima. Proprio come fatto da Merckx nel 1969 dopo la squalifica al Giro. Ma mancavano le premesse per un uomo, prima che un atleta, in cui emergevano prepotenti senso di inferiorità e depressione, fino a sbriciolare un ego ferito.
“Se conosco Marco, non si riprenderà mai da questa disgrazia” disse Martinelli. E purtroppo aveva ragione. Pantani si chiude in sé stesso e in quelle che la sua ragazza in seguito descrisse come “quantità industriali di cocaina e commiserazione”. La partecipazione al Tour 1999 non fu mai un’opzione.
Era in condizioni ottimali, sicuramente imbattibile per qualsiasi ciclista della terra ma all’improvviso è stato privato di qualsiasi luogo per spendere quella straordinaria carica di energia e confinato dalla vergogna a casa sua [Matt Rendell, giornalista]
Ne seguì una tremenda soap opera, prolungata e dolorosa. Pantani fu trascinato in tribunale per frode sportiva e venne assediato dai media, dalle autorità ciclistiche e dai magistrati. Ci furono rimpianti e persino altre vittorie: al Tour del 2000, sul Mont Ventoux e a Courchevel nei giorni delle sfide con il nuovo despota Armstrong. Ma c’erano anche nuove accuse di doping e indagini forensi. Partecipò ad altri tre Giri e a una Vuelta, ma senza lasciare il segno. E nel giro di un anno da quella che si rivelò poi la sua ultima corsa – il Giro del 2003 – Marco Pantani era morto.
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Magro racconta: quando Pantani batté Armstrong sul Mont Ventoux

La fine

Alla fine, la depressione e la dipendenza ebbero la meglio sul Pirata. Non tornò più all’apice raggiunto e Oropa o a Madonna di Campiglio e anche le vittorie al Tour 2000, per quanto memorabili, furono di un tono minore. Pantani non sembrava più desideroso di pedalare alla ricerca della grandezza, ma piuttosto per sfogare una rabbia interiore. Il 14 febbraio 2004 fu trovato morto in un hotel di Rimini. Aveva 34 anni. Gianni Mura commentò così quel triste addio.
“Pantani iniziò a morire quella mattina del 1999, a Madonna di Campiglio. Non accettò la positività né niente di ciò che gli successe dopo. Molti altri ciclisti coinvolti nel doping si fermarono e ricominciarono. Lui, re delle salite, si specializzò nella discesa: giù all’inferno, in paradisi artificiali, a nascondersi dall’opinione pubblica e dai giudici”
Diventò sempre più isolato e i suoi attacchi si fecero più rari. E ogni tanto, su questo giornale o su quella televisione, dicevano: Marco è tornato. Avevano ragione ad invocarlo, perché il ciclismo senza di lui era una zuppa insipida. Un palcoscenico senza l’attore principale, pieno di attori volenterosi ma incapaci di dare la scossa al pubblico. Cosa che Pantani sapeva fare molto bene, era la sua specialità.
“Marco in salita era l’equivalente di un acrobata senza rete. Un rituale, con ritmi quasi mistici. Era come un samurai: distruggeva gli avversari”. Mura concluse il suo pezzo nella notte della morte del Pirata, usando queste parole. “Probabilmente diventerà un mito, come succede a chi muore giovane o quando non capiamo perché se ne sono andati…avrei preferito vederlo invecchiare e bere un bicchiere di Sangiovese con lui, da qualche parte lassù tra le colline…”
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Marco Pantani

Credit Foto Getty Images

Pantani esalò il suo ultimo respiro il 14 febbraio 2004 ma la sua lenta morte era cominciata quasi cinque anni prima, a Madonna di Campiglio. Quel giorno, dopo la vittoria, ci fu la tragica svolta della sua vita. Dopo aver umiliato gli avversari con la sua tirannia sulle strade di Francia e Italia, il Pirata vide il suo impero sgretolarsi all'improvviso. Il suo destino dimostrò come una figura tanto dominante potesse essere immensamente fragile. E forse è per questo che Marco Pantani è ancora così venerato, la sua memoria sempre viva, le sue imprese mai sbiadite.
[Adattamento di un articolo di Felix Lowe, Eurosport UK]

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Bryant, Senna, Pantani: le tragedie impossibili da accettare per uno sportivo

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