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Serie A, la crisi della Juventus parte da lontano e non coinvolge solo Allegri

Roberto Beccantini

Pubblicato 01/11/2021 alle 18:51 GMT+1

Serie A - Nulla avviene per caso se infliggi alla costruzione del presente l’onnipotenza del passato. Ed è proprio nel passato che bisogna cercare la genesi di questa crisi bianconera.

Sarri-Allegri-Pirlo

Credit Foto Eurosport

La crisi della Juventus arriva da lontano. Se dalla primavera del 2019 alterni tre allenatori - Maurizio Sarri, Andrea Pirlo, Massimiliano Allegri - il disastro non può essere «solo» colpa dei tecnici. E allora? La pandemia ha coinvolto l’intero sistema, anche se di stipendi alla Cristiano Ronaldo ce n’era uno. Chi scrive, non avrebbe richiamato Allegri. Storia bella, ma vecchia. Stop. Avrei confermato Sarri. O Pirlo, lo stagista non più a «gavetta zero».
Premesso che i numeri inchiodano la società al muro di responsabilità schiaccianti e mortificanti, lasciatemi citare, a parità di Allegri, due formazioni. La prima risale alla finale di Champions del 6 giugno 2015, a Berlino, Juventus-Barcellona 1-3. Nel dettaglio: Buffon, Lichtsteiner, Barzagli, Chiellini, Evra (44' st Coman); Marchisio, Pirlo, Pogba, Vidal (34' st Pereyra); Tevez, Morata (40' st Llorente). La seconda, al Bentegodi di sabato, Verona-Juventus 2-1: Szczesny; Danilo, Bonucci, Chiellini, Alex Sandro (37’ st Luca Pellegrini); Cuadrado (25’ st Bernardeschi), Bentancur (13’ st Locatelli), Arthur (25' Kulusevski), Rabiot (13’ st McKennie); Dybala, Morata.
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Non ho menzionato Cristiano Ronaldo per non infierire. Senza dimenticare Gonzalo Higuain, Mario Mandzukic e Miralem Pjanic, una lucina che, nel buio spettrale dell’attuale scorcio, sembrerebbe un riflettore. Con tutto il rispetto, l’Hellas va battuto «comunque», ma negli editti juventini si parla troppo di «carattere», di «risultato» e poco, troppo poco, di «gioco», di «idee». Resta l’irreversibile declino. Con l’aggravante di 700 milioni impiegati, esclusivamente, per salvare il salvabile e non già, o non più, per migliorare il migliorabile.
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I 9 milioni stagionali ad Allegri, per quattro anni, sono un avviso, forte e chiaro, ai naviganti. Comanda lui. Non ancora come e quanto Andrea Agnelli, ma occhio al futuro. C’erano una volta Beppe Marotta e Fabio Paratici. Li hanno rimpiazzati Maurizio «Arrivamaluccio», gran tagliator dei tagliator di famiglia, e Federico Cherubini. Da ponte funge Pavel Nedved, furia dell’Est in campo, non proprio aquila dell’Ovest in ufficio. La Superlega ha stornato energie: Agnelli se ne era talmente invaghito da smarrirsi nel labirinto. Il caso dell’esame-farsa di Luis Suarez non è che abbia galvanizzato lo spogliatoio. Sono contrario ai cambi in corsa, «in un viale senza uscita l’unica uscita non può che trovarsi nel viale stesso» (papa Karol Wojtyla): dunque, nel pilota, nella squadra, fra i dirigenti. Più che nel mercato, visto che in cassa non c’è un euro. La sera del Chelsea, la mossa di Federico Bernardeschi falso nueve fece di Allegri un genio; la fatal Verona lo ha riportato al rango di bieco gestore. Voto?
Ci si aggrappa agli ottavi di Champions e, in particolare, al Piave del quarto posto: un’impresa. La Juventus in ritiro, dopo il ritiro dallo scudetto, vorrebbe essere tempo di segnali, viceversa è un mesto segno dei tempi. Nulla avviene per caso se infliggi alla costruzione del presente l’onnipotenza del passato. Mentre la concorrenza cresceva, la Juventus si è chiusa. I «No Max» spopolano: «magari» fosse tutta colpa sua.
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