Via alla trilogia Napoli-Milan: Spalletti favorito anche senza Osimhen, Pioli e Maignan "cercano" Leao
Pubblicato 31/03/2023 alle 21:00 GMT+2
SERIE A - Ad aprile, tra campionato ed Europa, Napoli e Milan si scorneranno la bellezza di tre volte. La sosta delle nazionali ha spezzato il ritmo. Non è facile riprendere da dove ci si era lasciati, anche se ai più forti riesce spesso, comunque. E il Napoli, oltre che il più bello, è il più forte. Il Milan si aggrappa alla storia, all'orgoglio e ai riflessi del suo portiere.
Aprile, mese di pesci e di squali, soprattutto. Qui è Rodi e qui bisogna saltare. Il calendario mira al bersaglio grosso. Fra campionato ed Europa, Napoli e Milan si scorneranno la bellezza di tre volte. Nell'ordine: domenica sera, ore 20,45, al Maradona per una sfilata che riecheggia il cambio della guardia di Buckingham Palace. Poi, per i quarti di Champions, alle 21, mercoledì 12 a San Siro e martedì 18 di nuovo a Fuorigrotta.
La sosta delle nazionali ha spezzato il ritmo. Non è facile riprendere da dove ci si era lasciati, anche se ai più forti riesce spesso, comunque. E il Napoli, oltre che il più bello, è il più forte. Lo certifica la classifica: dopo 27 turni, fra la capolista e il Diavolo, quarto, ballano 23 punti, diconsi ventitré. Al netto di mandolini e tarantelle, scongiuri e sfregamenti, lo scudetto è questione di giorni. La città è pronta. Lo merita. Luciano Spalletti si trova a dover gestire i ruttini da opulenza, le pulsioni di un ambiente che frigge di fame e di fama, una pancia che così gonfia e così piena non sporgeva dall'epoca di Diego (1987, 1990).
Stefano Pioli, lui, viene da un pari in tre partite, la Champions pericolosamente in bilico. Ci ha provato con la difesa a tre, preziosa nell'eliminare il Tottenham di Antonio Conte, ma poi è ripiombato nell'eclissi di Rafael Leao, tra la polvere di Charles De Ketelaere e Divock Origi. Serve un'impennata da «vecchio» Milan, il Milan ammirato sino al 2-2 casalingo con la Roma, adesso che persino la Maginot ha ripreso a fare acqua. I miracoli di Mike Maignan sono una risorsa, non la soluzione.
Gira e rigira, la «teoria» assegna il pronostico al Napoli. Attenzione, però, ai dettagli. Al Meazza, il 18 settembre, finì 1-2: rigore di Matteo Politano, stoccata di Olivier Giroud, sgrullata di Giovanni Simeone, una delle «crocerossine» che, dalla panchina, hanno contribuito a rendere straordinaria la marcia del «Napule». Il Milan avrebbe meritato almeno il pari. È questo il confine da non trascurare.
Da un lato, il recupero di Giacomo Raspadori e l’infortunio, improvviso, di Victor Osimhen; dall'altro, i k.o. di Pierre Kalulu, Junior Messias e Zlatan Ibrahimovic (in chiave domestica). Travi, non pagliuzze. Ripeto: sul piano tecnico e pratico, non c'è gara. Ma tre notti sono agguati, non tappe di un tour già acquisito per distacco. I gol e gli assist di Khvicha Kvaratskhelia sembrano sentenze. E’ complicato mescolare gli stati d’animo, senza confondere le ambizioni spicciole. Mettetevi nei panni del Milan: la Champions corre sul filo, arrivare in semifinale non dà certezze, e non le darebbe neppure un’eventuale finale, mentre espugnare il Maradona aiuterebbe a cementare, almeno, il traguardo minimo, in balia anch’esso di una volata dalle mille trappole.
Il Napoli non demorde. Diverte e si diverte, come ribadito dal 4-0 al Toro. Scritto che gli esami non finiscono mai, Stanislav Lobotka e compagni continuano, implacabili, a superarli. E a livello di «giuoco» gli applausi più schietti sono arrivati proprio dall'Europa. La vigilia si presenta curiosamente ambigua. Il Napoli si accinge a festeggiare un titolo 33 anni dopo l'ultimo e, nello stesso tempo, punta a una corona continentale che avrebbe del clamoroso. Il Milan si aggrappa alla storia, all'orgoglio e ai riflessi del suo portiere per evitare il più fragoroso dei tonfi, quale sarebbe l'uscita dalla zona Champions.
Non è semplice adeguare la consecutio dei verbi e delle trame a un trittico tanto scoppiettante e ravvicinato. L'abate di Certaldo dovrà convincere i suoi che in frigo non c'è ancora niente; il seminarista di Milanello, che non c'è più niente. Ecco perché un epilogo largamente orientato rimane prigioniero di convenzioni e convinzioni che l'anatomia degli istanti può trasformare in micce.
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