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Tokyo 2020 Basket: Italia alle Olimpiadi: la rivincita di coach Sacchetti e dei giovani

Daniele Fantini

Pubblicato 05/07/2021 alle 18:57 GMT+2

BASKET, OLIMPIADI - Il trionfo dell'Italbasket nel torneo preolimpico di Belgrado è lo specchio di un movimento azzurro in crescita e dello straordinario lavoro di Meo Sacchetti nelle finestre per le Nazionali. Il coach è riuscito a costruire un gruppo nuovo, frizzante e coeso, valorizzando e responsabilizzando i ragazzi a livello internazionale con serenità e fiducia.

Coach Meo Sacchetti e Nico Mannion, Italia, preolimpico di Belgrado 2021

Credit Foto Getty Images

Meo Sacchetti ha riportato l'Italia ai Mondiali dopo 13 anni di assenza. Alle Olimpiadi dopo 17. Eppure, è destinato a lasciare la panchina azzurra al termine dei Giochi di Tokyo. A volte è curioso quanto possa essere strano, beffardo e amaro il destino.
Il trionfo di Belgrado contro la Serbia ha reinserito la Nazionale azzurra tra le 12 migliori del mondo. Un'élite straordinaria quella dei Giochi olimpici, resa ancora più esclusiva dalla necessità di rappresentare tutti e cinque i continenti. Quando coach Sacchetti la descrive come la più grande soddisfazione della carriera assieme allo scudetto vinto alla guida di Sassari non è retorico. Anzi. Questa è un'impresa che probabilmente va anche oltre lo storico titolo della Dinamo del 2015. Entrambe le squadre avevano qualcosa di speciale. Così come la Cremona capace di conquistare la Coppa Italia del 2019. Già, Sassari, Cremona, Italia. Meo è, non a caso, il minimo comun denominatore delle imprese più incredibili degli ultimi anni della nostra pallacanestro.
Come tanti grandi ex-giocatori di intelligenza, carisma e spogliatoio, Sacchetti è un coach capace di entrare in sintonia naturale con i propri giocatori. Lo fa in maniera positiva, trasmettendo serenità, valori e fiducia. Ascoltare i suoi time-out è sempre una straordinaria lezione di psicologia sportiva. E non c'è da meravigliarsi se le sue squadre riescono spesso a overperformare facendo leva su se stesse, sulla propria forza interna, quella del gruppo.
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"Questo gruppo sta bene insieme". Lo abbiamo sentito tante volte uscire dalla bocca di Sacchetti e di ogni giocatore che ha parlato della sua esperienza in azzurro, dal ritiro di Pinzolo di inizio giugno al trionfo di Belgrado. Anche se quel gruppo è cambiato radicalmente in questo mese, mutando per metà soltanto alla vigilia della partenza per la Serbia, le parole dei protagonisti sono rimaste sempre le stesse. Anche qui, non è facile retorica. Perché la conferma è arrivata dal campo, partita dopo partita. Passando anche per la sconfitta pesante contro la Germania nella finale di Amburgo e per quel primo tempo stiracchiato contro Porto Rico all'esordio, poi cancellato da due partite e mezza di altissimo livello. In pochi giorni, macché, in poche ore, si è formata una chimica straordinaria, ben superiore alla semplice somma del talento dei singoli.
Il trionfo di Belgrado è la rivincita di Sacchetti e della sua Giovane Italia, di tutti quegli azzurri erroneamente considerati di seconda fascia, per quello strano blocco mentale che ci porta, troppo spesso, ad avere poca considerazione o stima di quanto produciamo, a livello cestistico, nel nostro Paese, fuorviati dalle luci brillanti dei palcoscenici NBA. No, non abbiamo stelle oltreoceano. Nik Melli e Nico Mannion hanno trascorso una stagione con ruoli molto marginali. Anche se Nico, probabilmente, si farà, sarà solo questione di tempo. Ma abbiamo anche tanto in casa nostra, senza guardare troppo lontano. Da Achille Polonara a Simone Fontecchio, che hanno ormai raggiunto un livello di fiducia in se stessi straordinario grazie alle loro esperienze all'estero che li hanno trasformati, nel giro di un anno, da comprimari a protagonisti da quintetto base in Eurolega. A Stefano Tonut, che ha dimostrato di essere pronto per quella squadra di Eurolega che chiede ormai da tempo. Ad Alessandro Pajola, la storia più bella degli ultimi mesi, epitome perfetta del duro lavoro che paga.
La Giovane Italia di Meo Sacchetti è una squadra moderna in tutto per tutto, a partire dall'età dei suoi protagonisti, nati tutti negli anni '90. È il risultato di un progetto coltivato nel tempo, attraverso quelle finestre infra-stagionali che hanno bilanciato lo scarso appeal per l'assenza delle star con la possibilità di valorizzare e responsabilizzare a livello internazionale tanti ragazzi che, in un contesto tradizionale, avrebbero avuto chance molto più limitate. È una squadra moderna nel gioco, una squadra consapevolissima dei propri limiti ma capace di trasformarli in punti di forza per stordire gli avversari con la sua atipicità. La leggerezza si è trasformata in versatilità su entrambi i lati del campo. Con una difesa mobile, rapida e reattiva, e un attacco di flusso e letture, veloce, aperto, con ottime spaziature e una batteria di tiratori micidiali da innescare con quel penetra-e-scarica ed early-offense che ha sempre segnato il DNA di ogni squadra sacchettiana. È il trionfo del sistema sul singolo. Della vera essenza della pallacanestro del 2021.
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