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Dal cuore interista alla finale con Maradona: storia della Germania campione del mondo a Italia '90

Marco Castro

Aggiornato 07/06/2020 alle 12:10 GMT+2

Ai Mondiali italiani fu un rigore di Brehme a mandare in paradiso la Mannschaft di Beckenbauer. Un torneo che non sarà ricordato per lo spettacolo, ma per la concretezza di quella Germania, "Ovest" per l'ultima volta nella storia.

Matthaus

Credit Foto Eurosport

Alle porte dell’estate del 1990 gli occhi del Dio Pallone stanno per mettere a fuoco dodici stadi e una penisola. Siamo alla vigilia dei Mondiali di calcio italiani e l’attesa si consuma in un caldo torrido che in molti ricorderanno tornando con la mente a quell’evento. Il Mondo vive il brivido di svolte e avvenimenti epocali. Nel novembre precedente è caduto il Muro di Berlino e la Germania si prepara a tornare unita dopo quasi quarant’anni. Un processo opposto, invece, sta per coinvolgere Unione Sovietica e Yugoslavia. È anche l’anno della liberazione di Nelson Mandela e della firma degli accordi di Schengen, mentre gli Scorpions firmano uno dei loro più grandi successi che è anche un testamento della fine di un’epoca: Wind of Change. Italia ’90 partecipa alla ventata di novità diventando la prima trasmissione televisiva della storia in alta definizione. Per il resto, 24 squadre al via e un inno a firma Bennato-Nannini diventato tormentone. La Germania – Ovest per l’ultima volta nella storia – viene da due finali perse e ha rischiato di guardare il Mondiale in tv, staccando il pass solo come migliore seconda nel girone di qualificazione. Eppure, insieme agli azzurri padroni di casa, all’Argentina di Maradona e all’Olanda campione d’Europa c’è anche la Mannschaft guidata da Franz Beckenbauer tra le favorite alla vittoria finale. Anche perché per molti giocatori simbolo di quella Nazionale spira una famigliare aria di casa.
Il futuro è nell'aria/lo posso sentire ovunque/soffiare con il vento del cambiamento [Wind of Change, Scorpions]
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Il Muro di Berlino non c'è più

Credit Foto Eurosport

Nucleo nerazzurro

Placido Domingo, Josè Carreras e Luciano Pavarotti si esibiscono per la prima volta insieme alla vigilia della finale di Roma, davanti a una platea globale di un miliardo di persone. In quel momento, la Germania Ovest sta per completare l’opera e lo deve in buona misura ai suoi tre personalissimi tenori in salsa nerazzurra. Il primo è Andreas Brehme, molto più che un terzino. Mancino di nascita e ambidestro per vocazione – il rigore finale ne è il manifesto -, maestro nello sganciarsi nella metacampo offensiva, abile tecnicamente da poter giocare anche mediano. È Giovanni Trapattoni, nell’anno dello scudetto dei record, a lanciarlo felicemente come esterno sinistro. “È il miglior giocatore con cui abbia mai giocato” dice di lui il secondo, Lothar Matthaus, con cui condivide sia l’esperienza al Bayern Monaco che il memorabile quadriennio 1988-92 sotto la Madonnina. Anche lui, Lothar, riceve una discreta investitura. “Il mio avversario più tosto” e stavolta a parlare è Diego Armando Maradona. Indossa con fierezza la fascia di capitano e la 10 della Mannschaft e non c’è zolla di campo in cui non se la cavi egregiamente. Un tuttocampista buono a fare legna e a disegnare, abile a spezzare il gioco avversario e a realizzare. Segna più di 200 gol in carriera e gioca anche da libero. Che altro dire? Il terzo inizia gonfiare la rete da bambino e smette nel 2003, a quasi 40 anni. Jurgen Klinsmann arriva a Milano un anno dopo i connazionali ma trova il tempo di farsi volere bene e di vincere una Coppa UEFA e una Supercoppa italiana. Può colpire in ogni modo: di piede o di testa, con un’azione personale o di rapina. È il tipico attaccante che non puoi mai perdere di vista o ti punisce. Solido e cinico come la sua Nazionale. Nota a margine: sa come farsi amare dai propri tifosi e risultare odioso per quelli avversari.
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Lothar Matthäus, Giovanni Trapattoni, Andreas Brehme, Jürgen Klinsmann - Inter 1990 (Imago)

Credit Foto Imago

La formazione

Beckenbauer schiera i suoi con un 5-3-2, che diventa 3-5-2 in fase offensiva. Bodo Illgner tra i pali: erede di Harold Schumacher al Colonia e nella Mannschaft, futuro campione d’Europa con il Real Madrid. Ha 23 anni nel 1990 e tanto basta per diventare il più giovane portiere di sempre a giocare una finale mondiale. Il libero è il veterano del Bayern Monaco Augenthaler, scortato solitamente da Buchwald e dal prossimo juventino Jurgen Kohler. Sulle fasce, con licenza di uccidere, ci sono Brehme a sinistra e Berthold a destra: quest’ultimo gioca a Roma dopo un passato all’Hellas Verona e nella Capitale si fa notare – diciamo così - anche fuori dal campo. Matthaus cucina, randella e ricama al centro del campo, mentre ai suoi lati sbuffano Hassler e Littbarski, (o inizialmente, prima di farsi male, Bein), che con Illgner formano un orgoglioso terzetto da Colonia. Un prezioso jolly è Stefan Reuter, altro futuro bianconero e inserito alla bisogna in mediana o in difesa. Davanti non si scappa: Klinsmann-Voller, si salvi chi può. Il baffuto Rudi è il quinto “italiano” della selezione tedesca: generoso e leale, ricambiato dalla città in cui tornerà anche da allenatore dopo 5 anni in campo. Il gioco della Germania non è spettacolare e si basa molto su pressing e schemi semplici. Sfrutta molto il lavoro tra gli esterni e i due attaccanti. E punta a far giocare male l’avversario, sfiancandolo e punendolo al minimo errore. Una squadra pratica, matura, affidabile. Ma quando mai la Germania non lo è stata?

Il torneo

Il Mondiale tedesco inizia il 10 giugno in un San Siro fresco di terzo anello e ci rimane fino ai quarti compresi. Un bel vantaggio per il terzetto di cui sopra, che quell’erba nobile la conosce bene. Il girone è una formalità. Al debutto, la resistenza della Yugoslavia di Savicevic dura 28 minuti. Il dominio di Matthaus è imbarazzante. Nel 4-1 finale ne segna due e il secondo fa spellare le mani ai presenti. Tira delle cannonate tali che quasi fa sgonfiare l’Etrusco, mitico pallone di quel Mondiale. Si sbloccano subito anche Klinsmann e Voeller, e per gli attaccanti è sempre un toccasana. Anche con gli Emirati Arabi non c’è storia. La Germania ci mette un po’ a carburare – sarà una costante del suo torneo – ma una volta sbloccato il match ci si diverte. Nel 5-1 c’è gloria anche per il mediano Bein. Neanche la Colombia di Higuita e Valderrama fa paura: 1-1 e Germania prima nel girone.
Dagli ottavi, però, si fa sul serio. Anche perché dall’altra parte del campo c’è l’Olanda, pur reduce da un girone deludente. Oltre a essere una classica del calcio, è anche un derby iridato tra la Mannschaft nerazzurra e i tulipani rossoneri. E quale scenario migliore di San Siro per godersi la sfida? La partita, in realtà, non è così esaltante. Voeller e Rijkaard si fanno cacciare, Van Basten non brilla e la Germania suona il suo spartito. Brehme e Klinsmann firmano così il passaggio ai quarti. Dove i tedeschi trovano la Cecoslovacchia, anch'essa all'ultima apparizione mondiale in questa veste. E troppo timida per sorprendere la solidità tedesca: basta un rigore di Matthaus, prima del trasferimento a Torino. Al Delle Alpi, in semifinale, c’è l’Inghilterra e anche questa non sarà mai una partita banale. Lineker risponde a Brehme, mentre ai supplementari un palo per parte salva la parità. Rigori. La Germania è una sentenza, l’errore di Pearce condanna gli inglesi. E nel dopo gara, Lineker partorisce una delle più celebri massime del calcio.
Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince [Gary Lineker]
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Lothar Matthaus e Diego Maradona al sorteggio prima della finale

Credit Foto Imago

La finale

Roma, Stadio Olimpico. Germania-Argentina vale di nuovo il titolo mondiale, come quattro anni prima. Il momento più iconico di quella serata si tiene a pochi istanti dal fischio d’inizio, quando Maradona scandisce un’inequivocabile hijos de puta in favor di telecamera, per rispondere alle bordate di fischi all’inno della Selección. La partita, invece, verrà giudicata come la meno spettacolare dell’intera storia iridata. Con una sola squadra realmente in campo, i favoriti tedeschi, e i sudamericani schierati con l’unico obiettivo di portarla ai calci di rigore.
Mai assistito a uno strazio paragonabile a quello di Germania-Argentina [Gianni Brera]
Maradona, già poco scintillante, è imbrigliato nella tela pensata da Beckenbauer. La Germania non incanta, ma quando il centrale Monzon si fa cacciare per un intervento killer che gli vale la palma di primo espulso in una finale mondiale, la strada si fa in discesa. Il fortino argentino capitola al minuto ’85. Voller va giù in area dopo un contatto con Sensini: per l’arbitro messicano Mendez è rigore, per quasi tutti gli altri rimarrà il dubbio in eterno. Capitan Matthaus è il rigorista designato, ma lascia l’esecuzione a Brehme. E spiegherà così le sue ragioni.
Lo tirò Brehme quel rigore perché scelsi io di non tirarlo. Avevo un problema ad uno scarpino, era rotto. E così, per il secondo tempo, decisi di cambiare scarpini. Ma non mi sentivo sicuro con gli scarpini nuovi e fu per questo motivo che decisi di rinunciare a tirare un rigore così decisivo.
Il numero 3 è una sfinge. Calcia basso alla destra di Goycochea, che intuisce ma può solo maledire il pallone che si infila nell’angolino basso. Brehme diventa così il primo e tutt'ora l’unico ad aver segnato un rigore ai mondiali con entrambi i piedi. C’è tempo ancora per il rosso a Dezotti e un’Argentina che finisce addirittura in nove. La Germania è campione del mondo per la terza volta nella sua storia e spezza un’annosa maledizione: è la prima squadra europea a battere una sudamericana all’ultimo atto mondiale. Al sesto tentativo.
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Il rigore che decide il Mondiale 1990

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Germania unita

È un momento storico, qualcosa di più grande dell’apoteosi sportiva. Matthaus che alza il trofeo dorato nel cielo romano riunisce ogni abitante della Germania che si prepara a tornare unita. Non c’è più l’Est o l’Ovest, ma un Paese che festeggia quel trionfo da Monaco a Berlino, da Francoforte e Dresda. Nel 1954, la Germania aveva vinto il suo primo mondiale, beffando la più quotata Ungheria nel celebre Miracolo di Berna. Era un Paese che in qualche modo rialzava la testa a meno di dieci dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Oltre quarant’anni dopo, la Storia si intreccia di nuovo col pallone. Non c’è più timore o imbarazzo a cantare l’inno, si può scendere in piazza a festeggiare con un entusiasmo che non si era mai visto.
Speciale Italia 90: le puntate precedenti
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"Campioni del Mondo!" 15 anni fa il trionfo a Germania 2006

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