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Serie A, Mourinho è già crisi a Roma: così, il matrimonio non può durare

Simone Eterno

Pubblicato 09/11/2021 alle 09:32 GMT+1

SERIE A - Un'ampia analisi a 360° del matrimonio tra José Mourinho e la Roma: cosa non sta funzionando; i limiti; una strategia controproducente e l'equivoco di fondo che tecnico e società saranno presto chiamati a dover risolvere. Una lunga lettura sui primi mesi del portoghese sulla panchina dei giallorossi.

José Mourinho e sullo sfondo le bandiere della Roma: immagine iconica dell'inizio della nuova avventura

Credit Foto Getty Images

Ci sono due metodi opposti di affacciarsi alla situazione di casa Roma in questo specifico momento del campionato. Il primo è immedesimarsi nel punto di vista ufficiale di José Mourinho, l’altro è quello di affidarsi all’analisi statistica di risultati, numeri e qualità di gioco prodotto. Proveremo a svilupparli entrambi, perché dopo 12 giornate – e alla sosta per le nazionali – un primo bilancio di quanto raccolto dal tecnico portoghese nei primi mesi nella Capitale, lo si può effettivamente già fare.

Novembre: siamo già al 'rumore dei nemici'

Che all’8 di novembre José Mourinho abbia già alzato le barricate del ‘noi contro il mondo’, premessa doverosa, non è un bel segnale. Questo infatti è tendenzialmente un tipo di comunicazione che il tecnico portoghese ha tirato fuori in carriera nei momenti di estrema difficoltà: da Milano a Madrid, passando per Manchester e Londra, l’arco temporale in cui si è affidato a un classico della sua comunicazione d’emergenza si è via-via assottigliato, così come più fragile si è fatto quello scudo capace di portare le sue squadre da vincere tutto – Inter – a non ottenere praticamente più nulla - Tottenham. Che la piazza romana fosse una sfida complicatissima, visto la natura intrinseca della comunicazione nella Capitale, ma anche il valore complessivo di una squadra che aveva terminato la stagione al settimo posto, non era certo una novità. Mourinho si è però fin qui trovato davanti a difficoltà evidenti nel far esprimere un tipo di calcio ‘ben definito’ al proprio undici titolare. Ma al di là di questa analisi, il problema della Roma, nelle ultime settimane, almeno stando a parte della piazza, pare soprattutto quello con la classe arbitrale.
La contestazione riguarda sostanzialmente i recenti episodi avvenuti col Milan e domenica a Venezia, dove un calcio di rigore ampiamente discutibile ha rimesso in partita i lagunari; e alla fine ha lasciato i giallorossi completamente a secco. Che la Roma sia stata svantaggiata è sicuramente un'opinione condivisibile. Che la Roma non sia in una miglior posizione di classifica solo a causa degli arbitri – come Mourinho vuole lasciare anche poco velatamente intendere – lo è sicuramente di meno.
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La disperazione di Tammy Abraham - Venezia-Roma - Serie A 2021-22

Credit Foto Getty Images

L'equivoco: taglio la rosa, ma poi sono corto...

Al di là delle questioni arbitrali, il tecnico portoghese, giusto dopo la sconfitta di Venezia, ha chiaramente affermato di una rosa “non superiore a quella della passata stagione”, aggiungendo persino che “Bruno Peres e Juan Jesus sarebbero stati utili”. E qui iniziamo ad addentrarci nella vera analisi, nel succo della questione. In estate la Roma ha messo a segno il colpo più costoso della sua storia – Tammy Abraham, 40 milioni – a cui aggiungere Shomurodov, Vina e Rui Patricio; se a questi andiamo a sommare a bilancio i riscatti di Kumbulla, Ibanez e Reynolds il totale fa 124 milioni in una singola sessione: nessuno ha speso di più in Italia. E’ vero, al tempo stesso è partito Edin Dzeko, ma la domanda di fondo è un’altra: cosa poteva fare di più la Roma?
Niente. Lo sforzo economico era già stato evidente e il bilancio societario parla chiaro; giusto qualche giorno fa il CDA ha approvato quello al 30 giugno 2021, che evidenzia perdite per un totale di 185 milioni. Un dato in miglioramento rispetto al precedente esercizio (in cui le perdite ammontavano a 204 milioni), ma ancora piuttosto preoccupante per la salute societaria. L’indebitamento finanziario netto al 30 giugno 2021 è poi di ben 302 milioni, tanto che la proposta è stata quella di un aumento di capitale di ben 460 milioni di euro. Qui dentro, senza essere dei maghi della revisione contabile, è piuttosto facile intuire quanto il margine di manovra per Pinto sia sostanzialmente molto sottile. La Roma non può permettersi una campagna acquisti alla Roman Abramovich della prima gestione al Chelsea, in cui Mou lanciò la sua carriera dopo la Champions League al Porto. E se Mourinho si aspettava questo dalla Roma, ovvero una faraonica invasione di euro sul mercato, allora evidentemente c’è stato un problema di fondo tra le parti: o il tecnico non ha messo le cose in chiaro; o non l’ha fatto la società.
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Tiago Pinto e José Mourinho - Stagione 2021-22

Credit Foto Getty Images

Mezzo miliardo in 3 estati, una Europa League: il caso United

Se invece Mourinho fu messo conoscenza della situazione finanziaria del club giallorosso – cosa ben più probabile – francamente si intuisce di meno dove voglia andare a parare questo rapido scaricabarile delle colpe già a novembre. Mourinho ha accettato la Roma perché nulla più della Roma avrebbe potuto permettersi come piazza in quel momento. Il fallimento al Tottenham era stato evidente; così come quello al Manchester United, che seppur velato di un trionfo internazionale come l’Europa League conquistata a Stoccolma sull’Ajax, era sostanzialmente stato un traguardo ‘minore’ se paragonato agli sforzi economici profusi dal club sul mercato durante la sua gestione. Nelle tre campagne acquisti di Mourinho, il ManU spese 185 milioni di euro nella prima estate (portandosi in casa Pogba, Bailly, Mkhitaryan e Ibrahimovic) e altri 198 milioni nell’estate successiva (inserendo Lukaku, Matic, Lindelof e Sanchez); il terzo anno furono spesi altri 80 milioni di euro per Fred e Diogo Dalot. Totale? Un sesto posto in campionato la prima stagione, salvato dall’ingresso in Champions League grazie alla vittoria dell’Europa League. A questi da aggiungere la vittoria in Coppa di Lega e il Community Shiled (la supercoppa inglese); poi più nulla, se non una finale di FA Cup e un secondo posto in campionato a distanza siderale da Guardiola. Pochino, a fronte del quasi mezzo miliardo di euro speso in 3 estati.
Un excursus necessario quello del rapporto denari investiti/titoli ottenuti nell’ultima parte della carriera di Mourinho, per andare a capire la scelta Roma del tecnico e la scelta Mourinho da parte della società. Mourinho infatti è entrato a Trigoria alla sua maniera, facendo tabula rasa di una determinata parte dello spogliatoio, mettendo in chiaro fin da subito chi avrebbe voluto tenere nel proprio progetto e chi no. Il tutto, inevitabilmente, accorciandosi una parte di rosa. Al 7 novembre però il portoghese rimpiange in conferenza stampa due pedine come Bruno Peres e Juan Jesus dopo una sconfitta a Venezia? A che scopo?

Mourinho fin qui: andava meglio Fonseca

La verità evidentemente è un po’ più cruda di un semplice torto arbitrale o di una rosa non all’altezza. Che la Roma non sia una squadra da Scudetto è evidente; che i giallorossi però non siano nemmeno da buttare ce lo racconta quanto fatto dal bistrattato Paulo Fonseca nella passata stagione. L’altro portoghese, dopo 12 giornate di campionato, viaggiava 4° in classifica a 24 punti: 5 in più della Roma di quest’anno, al momento 6a; a questo aggiungiamo i 27 gol fatti dalla squadra di Fonseca a questo punto della stagione (6 in più da quanti siglati fin qui), le 7 vittorie (una in più rispetto a questa stagione) e soprattutto le 2 sole sconfitte – ben 3 in meno rispetto alle 5 di Mourinho della Roma di quest’anno. A questo va aggiunta l’Europa League, dove la Roma di Fonseca è stata protagonista fino alla semifinale di Manchester contro lo United... Dove i giallorossi ne presero sì 6, ma a Old Trafford e a maggio... Non 6 nel fiordo norvegese di Bodo, a ottobre, in Conference League...

Quali idee tattiche per la Roma? Il caso Zaniolo

Insomma, pare dunque un filo superficiale limitarsi alla sfortuna o alla qualità del materiale umano a disposizione. Più evidente invece, dallo United in poi, sono stati i tutto sommato scadenti risultati a livello di gioco proposti dalle squadre di Mourinho. Non sfugge a questa tendenza la Roma, i cui principi di gioco attuali restano sostanzialmente ancora un po’ nebulosi; e in cui l’utilizzo di alcune pedine desta qualche perplessità. Su tutte Nicolò Zaniolo, forse il miglior prospetto a disposizione nella rosa dei giallorossi. Un giocatore a cui Mourinho fin qui ha richiesto sostanzialmente più sacrificio che altro. Sotto il portoghese in questo avvio di stagione Zaniolo è stato costretto alla gestione completa delle due fasi, trasformando un esterno offensivo ‘da spunto secco e tiro’ – quello che aveva fatto vedere fin qui in carriera – in un esterno da doppia fase più incline al cartellino giallo che alla giocata decisiva. Al di là del singolo, però, la Roma, si è attestata in generale come un ibrido mediocre: una squadra troppo fragile difensivamente per avere solo il sesto attacco del campionato (21 gol fatti, meno di Inter, Milan, Lazio, Verona, Napoli e Atalanta).
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Nicolò Zaniolo a terra dopo Juventus-Roma, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Mourinho-Roma, che matrimonio è?

Quali conclusioni trarre, dunque, da questo avvio di stagione e da quanto stiamo vedendo in queste ultime settimane? In primis che la battaglia mediatica, in pieno stile Mou, sta provando a spostare l’attenzione altrove rispetto ai problemi di campo; ma al tempo stesso il tecnico si lamenta di avere una squadra troppo debole, facendo pressione alla società. Ed è qui che nasce il cortocircuito.
La Roma, nello scegliere Mourinho, puntava oltre che su una strategia di marketing a ottenere un effetto benefico nella costruzione di un gruppo altamente motivato, ricordando una prima parte di carriera in cui il portoghese era stato senza ombra di discussioni un maestro in questo. La realtà dei fatti però, come evidenziato al capitolo Manchester, è che da qualche anno il portoghese non riesce più nei miracoli, anche perché dal punto di vista tecnico il gioco ha subito una rivoluzione totale rispetto ai principi su cui si sono attestati tutti i più grandi successi di Mourinho, che da questo punto di vista rappresenta “il vecchio” nel calcio attuale.
Al tempo stesso Mourinho nel scegliere la Roma sarebbe dovuto essere consapevole di non poter più “pretendere” sul mercato come nel passato. Non per recenti risultati ottenuti, non per piazza e campionato scelto. Mourinho poi dovrebbe altresì essere consapevole di non avere soluzioni migliori: in Inghilterra dopo United e Tottenham è privo di mercato; in Liga non ci sono piazze disposte a investire su di lui. Il progetto Roma e Friedkin è quanto di più appetibile possa realmente permettersi in questo momento storico. Perché non accettare di provare a costruire con quel che si ha e cambiare modello di comunicazione?
Nelle parole di presentazione della scorsa estate, Mourinho, aveva parlato di progetto a lungo termine, di tempo necessario per costruire qualcosa. Un concetto che fila. Perché però dopo due mesi di campionato la Roma è già alle battaglie “noi contro il mondo” e alla pubblica gogna per alcuni giocatori? Il cortocircuito è davvero tutto lì. O Mourinho accetta la realtà dei fatti e cambia strategia comunicativa e gestionale, accettando quel che implicitamente aveva significato e significa tutt’ora prendere la Roma; o lo fa la società accontentando la natura di Mourinho e indebitandosi ulteriormente.
Delle due, doveva essere la prima. Fin qui non lo è stata. O l’equivoco verrà risolto, o il matrimonio non durerà a lungo.
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Mourinho: "Roma è una piazza difficile, ora capisco perché"

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