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Olimpiadi Tokyo 2020 Ginnastica Artistica: Simone Biles, la salute mentale e il coraggio di andare oltre lo sport

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Aggiornato 29/07/2021 alle 20:58 GMT+2

TOKYO 2020 - La storia del forfait di Simone Biles ai Giochi Olimpici è solo l'ultima di una lista che continuerà ad aggiornarsi. Per una volta, e per migliorare, mostriamo rispetto.

Simone Biles, Tokyo 2020, Getty Images

Credit Foto Getty Images

"Non appena metto piede sul tappeto siamo solo io e la mia testa e ho a che fare con i demoni... Devo fare ciò che è giusto per me e devo concentrarmi sulla mia sanità mentale. Penso solo che il problema della salute mentale sia più diffuso nello sport in questo momento, non è che puoi mettere tutto da parte, devi anche concentrarti su te stesso, perché in fin dei conti anche noi siamo umani. Dobbiamo proteggere la nostra mente e il nostro corpo piuttosto che fare ciò che il mondo si aspetta da noi. Non mi fido più come prima, non so se è una questione di età. Sono un pò più nervosa quando faccio il mio sport. Sento che non mi sto divertendo più come prima".
Con queste parole, piuttosto precise e rumorose, Simone Biles si è ritirata dal concorso generale di ginnastica artistica alle Olimpiadi di Tokyo 2020. La nativa di Columbus, ancora 24enne, ha dovuto dire addio alla competizione a cinque cerchi per colpa dei demoni che tormentano le sue giornate. Nell'ultimo anno di sport, anche atleti come Naomi Osaka, Tom Dumoulin e Josip Ilicic si sono ritrovati nella stessa condizione: si sono "presi una pausa" per uscire dalle fiamme dell'inferno e ritrovare l'amore per se stessi, per chi li circonda e per il loro lavoro.
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Simone Biles: "Sento che non mi sto più divertendo come prima"

Molto spesso, quando vengono passate al setaccio le vite dei personaggi più famosi, c'è la malsana abitudine di etichettare tutto quanto. Successo uguale vincente. Sconfitta uguale perdente. Senza categorie intermedie. Lo sport, poi, fa parecchia fatica ad uscire da questo binomio computerizzato e spersonalizzato. Anche quando tratta argomenti extra-campo. La depressione, ad esempio, è sempre catalogata in due modi: o come forza motivazionale già superata o da superare, oppure con la retorica del pietismo: "Poverino, è depresso. Poverino, ha avuto quel problema lì".
Ascoltando varie interviste di vari sportivi nel corso nella loro carriera, il ritornello su cui mi sono sempre focalizzato è il sentimento che segue una grande vittoria. Una cosa strana da leggere, ma perfettamente consona con alcune delle sensazione che chiunque può aver provato nella propria vita. "La prima sensazione che provi quando vinci/ottieni qualcosa di atteso, non è gioia, ma sollievo", ha detto Pelé, "Siamo in semifinale, c'è tanto sollievo in questo momento", ha detto Guardiola pochi mesi fa, "Quando ho vinto la Coppa del Mondo è stato come morire", ha detto Andrea "Lucky" Lucchetta nel 1990 dopo il primo grande successo della "Generazione di Fenomeni".
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Simone Biles, l'incredibile errore al volteggio prima del ritiro

Mi viene da pensare che le luci, il colore, i riflettori, i soldi, la fama, la tv e i social siano solamente la maschera dietro cui si nascondono le persone che sono diventate atleti e campioni del mondo. E mi viene anche da dire che chiunque spacci la vita come "facile" sia gente che non l'abbia mai realmente vissuta. La vita non è facile. Per nessuno. Essere il campione del mondo o l'ultimo essere umano di questo pianeta, quando in campo entrano demoni, attacchi di panico e insoddisfazione, non fa differenza. Ed è per questo motivo che giudicare o catalogare diventa un atto estremamente violento.
Kevin Love su The Player’s Tribune ha scritto che "la via d’uscita dalla depressione non è una cosa che si conquista". Per uscirne bisogna fare terapia, "parlarne con qualcuno". Lo stesso Clarke Carlisle (ex difensore di Leeds e QPR) quando si è ritrovato a tu per tu con la depressione e la volontà di suicidarsi ha chiamato il suo allenatore dell'epoca e gli ha detto: "Non so cosa mi sta succedendo, ma ho bisogno di aiuto".
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Biles, clamoroso: errore ed è dietro a Vanessa Ferrari

La società odierna fondata sul mangia e bevi ha imposto degli standard clamorosamente alti nella vita di tutti i giorni, ma non per questo dobbiamo perdere il contatto con la realtà. L'apprensione di frasi del tipo: "Dai che ti aspettiamo" o "Dai che passa tutto", in realtà, non fanno altro che ingigantire il problema. Se in futuro vi dovesse capitare di trovarvi a stretto contatto con un atleta (o con un amico) che sta passando un momento difficile, invece che dirgli "torna presto", provate ad offrirgli una porta da aprire. Un "se hai bisogno ci sono" vale molto di più rispetto ad una pacca sulla spalla. La storia di Biles è solo l'ultima di una lista che continuerà ad aggiornarsi. Per una volta, e per migliorare, mostriamo rispetto.
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Simone Biles: "Ho avuto un problema di testa, ma ho compagne straordinarie"

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