Simone Alessio: "Sportivamente sono arrogante, mi sento al pari dei più grandi di altre discipline"

Marco Castro

Pubblicato 17/04/2024 alle 12:40 GMT+2

OLIMPIADI PARIGI 2024 - Continua la serie di interviste ad alcuni degli atleti italiani che vedremo in gara tra pochi mesi in Francia. Il quarto protagonista è Simone Alessio, funambolo del taekwondo, due volte campione del mondo e numero 1 del ranking. "La sconfitta di Tokyo è stata una lezione che mi ha fatto ripartire a mille, non voglio più rivivere quella scottatura".

Simone Alessio

Credit Foto Eurosport

Se c'è una cosa che a Simone Alessio non manca, è la confidenza nei propri mezzi. E ovviamente il talento, quel dono di madre natura che l'ha portato a vincere due titoli mondiali nel taekwondo (il primo a 19 anni) e a diventare il numero 1 del mondo nella sua categoria (-80 kg). Ma a 23 anni, l'atleta del Gruppo Sportivo dei Vigili del Fuoco non ha certo intenzione di porre limiti alla sua ambizione e ai Giochi olimpici di Parigi punta dritto all'obiettivo più prestigioso in assoluto. Anche perchè il ricordo della sua prima esperienza a cinque cerchi è una ferita aperta, ma anche la miccia che lo ha portato a esplodere e a prendersi il trono nel suo sport, come ha confidato in questa intervista esclusiva a Eurosport.
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Simone Alessio (foto credit: @ItaliaTeam_it)

Credit Foto Twitter

"Con la mia arroganza sportiva pensavo di arrivare a Tokyo e prendermi l’oro. Subito dopo, quando ho dovuto fare i conti con la realtà è stato molto difficile. Ero molto contento che Vito (Dell’Aquila, ndr) avesse vinto, ma quando ho visto la luce dei riflettori su un'altra persona e non su di me mi sono chiesto cosa avessi sbagliato. Sono una persona che vive di fama, quindi per me è stato complicato. Però quella lezione è stata fondamentale, perché quel bruciore mi ha fatto ripartire a mille. Ho pensato di avere tre anni davanti e di non voler buttare tutto il mio lavoro. L’Olimpiade è stato un punto di partenza che mi ha fatto dire “scansatevi tutti, non voglio subire un’altra sconfitta così".
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Alessio, da quell'eliminazione ai quarti contro l'egiziano Seif Eissa ha letteralmente spiccato il volo. "È stata una grande botta di adrenalina, una benzina che mi ha fatto partire in quarta. Dal 2022 ho vinto tutto e sono arrivato al numero 1 del ranking. La vittoria al Mondiale 2023 mi ha dato la qualificazione olimpica in tasca e ottenere il pass con così tanto anticipo mi ha portato grande tranquillità, anche a livello mentale. Potrebbe esserci il rischio di rilassarsi, ma se ripenso alle Olimpiadi mi accendo subito. È stata una grande lezione, non voglio più vivere quella scottatura. Se avessi vinto nel 2021, forse sarebbe stata tutta un’altra storia. Magari in questo momento sarei ancora in vacanza!".
I Giochi olimpici sono anche una festa, dove i migliori atleti del mondo sono riuniti in un unico posto e il Villaggio Olimpico rappresenta il luogo di questo incontro così magico. Ma Simone ha vissuto questa esperienza solo in parte. "Dico la verità, io non riesco tanto a godermi l’esterno di una competizione. Soprattutto alle Olimpiadi di Tokyo, dove è stato tutto molto veloce. Siamo arrivati, abbiamo gareggiato, poi Casa Italia e due giorni dopo eravamo già in Italia. Non ho avuto modo di concedermi la possibilità di osservare il resto e personalmente non riesco tanto a godermela, a far parte di quella festa. Non posso farmi distrarre. Però mi ricordo una grande emozione. Nelle settimane prima pensavo al mio arrivo alle Olimpiadi e una volta lì mi sono detto: 'allora è questo, ora capisco'. Perché ci sono i migliori al mondo non solo del tuo sport ma di tutte le discipline, ti fa capire la grandezza di un evento del genere".
E se prendere parte ai Giochi ti dà la possibilità di incontrare atleti di ogni sport, per Simone non è stato (e non è) qualcosa di prioritario. "Non ho idoli. Non ho personaggi di altri sport o del mio che vorrei conoscere. Io sono molto arrogante sportivamente parlando. Penso ad esempio a Djokovic, che era lì al Vilaggio Olimpico e tutti volevano incontrarlo. A me non interessava. Se lo vedevo bene, ma non sarei mai andato lì a chiedere una foto, a lui come a nessun altro. Nella mia vita ho chiesto la foto solo a due persone: Ibrahimovic e De Rossi. Nel mio sport, io sono come loro, come i grandi. Non penso 'wow, spero di arrivare dove sono loro' perché arrogantemente dico: 'Io lo sono'. Li stimo ovviamente, ma non desidero conoscerli".
Simone Alessio è stato un atleta estremamente precoce e vincere il primo Mondiale (nella categoria -74 kg) a soli 19 anni ha svoltato la sua vita, sia dal punto di vista umano che professionale. "Quando penso a quel Mondiale mi sembra davvero a una vita fa, anche se sono passati solo cinque anni. Ero un ragazzino che faceva quello che faceva per divertimento, perché gli piaceva combattere, gli piaceva lo sport, aveva la passione per il taekwondo e si divertiva a praticarlo. Adesso lo faccio perché voglio vincere, perché voglio continuare a dimostrare quello che ho già dimostrato. Sento una pressione diversa. In quel Mondiale tutto è stato perfetto. In quel momento ho capito la differenza tra il ragazzino che si divertiva a fare il taekwondo e vedeva tutto come un gioco e quello che mi avrebbe potuto dare a livello umano e di crescita questo sport. Non ero preparato a tutto ciò che ci sarebbe stato dopo. Interviste, essere al centro dell’attenzione…lo volevo ma non ero preparato. È stato un crescere come persona e come atleta".
Le competizioni di taekwondo a Parigi si disputeranno al Grand Palais, un'arena capace di ospitare 8000 spettatori. Rispetto a Tokyo, fortemente condizionata dalle limitazioni legate al Covid, il clima potrebbe essere piuttosto caldo. Ma qual è il rapporto di Alessio con l'ambiente circostante, mentre combatte? "Io sono molto lunatico, da sempre. Mi è capitato di combattere con un atleta che era in casa, sentivo tutto il pubblico per lui e mi caricavo il doppio, come se fosse per me. Il pubblico per me è importante che ci sia, a favore o contro. Sentire quel brivido, quel rumore per è fondamentale e mi dà una carica immensa. Quando ho gareggiato a Roma e tutto il tifo era per me, l’ho sentito di sottofondo perché non potevo permettermi distrazioni, come pensare al fatto che ci fossero i miei genitori. A momenti preferisco avere il pubblico contro che a favore. Di base qualsiasi rumore mi gasa e mi fa pensare a Tokyo dove non c’era tifo, sembrava di combattere in palestra quando facciamo i test match".
L'oro olimpico è l'ultimo grande obiettivo per Simone, che sicuramente non pensava a un traguardo così grande quando ha mosso i primi passi in questo sport. "Ho scelto il taekwondo grazie a mio padre, che lo praticava in una palestra vicino a casa mia. È stata una grande fortuna avere a che fare questo sport, che ti insegna le regole e fa scaricare un bambino irrequieto come ero io! Ho deciso di volerlo praticare a 10 anni, ma in realtà ho iniziato a fare taekwondo a 4. Prima era un gioco, poi quando ho iniziato a vincere ho capito di voler proseguire. Fino a 10 anni volevo giocare a calcio. Il primo ricordo nel taekwondo risale a quando avevo 4 anni. Sono entrato in palestra e da noi, quando inizia l’allenamento, c’è una fila che parte dal più anziano e va fino all’ultimo arrivato. Io sono andato davanti perché volevo essere al primo posto! Mi hanno visto e mi hanno detto di andare subito in fondo. 'Ultimo a me??' avevo pensato. Già a 4 anni avevo un certo carattere.
Il calcio fa parte del passato della vita di Alessio, ma anche del presente. Non come atleta, ma come spettatore. Ovviamente a tifare la Roma di Daniele De Rossi. "Quando è arrivato ero combattutto, tra Mourinho che per la Roma ha dato tutto e De Rossi che sapevi già avrebbe fatto lo stesso in panchina dopo averlo fatto da giocatore. Un miscuglio di emozioni. Tante persone erano scettiche sul gioco di De Rossi, dicevano che alla Spal non aveva fatto bene e che i giocatori non potessero cambiare all’improvviso. Invece ha dimostrato che due giocatori fondamentali come Pellegrini e Dybala, se messi nel loro ambiente calcistico preferito, riescono a fare la differenza. Per me De Rossi è stato fondamentale sul piano mentale. La squadra è più libera. Mourinho è una persona con cui è molto difficile avere a che fare. De Rossi ha dato una diversa apertura ai giocatori. Sono più tranquilli. Io vado sempre allo stadio, l’osservo. Non sottolinea mai gli errori, ma è sempre lì a incitare tutti. Questo mentalmente per un atleta è molto importante".

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