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US Open: Thiem è il primo nato negli anni 90 a vincere uno Slam

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Pubblicato 14/09/2020 alle 19:01 GMT+2

L'austriaco si gode il successo più prestigioso, arrivato dopo tante delusioni e sofferenze e per questo ancor più importante: "Doveva essere così - la mia carriera è sempre stata come la partita di oggi - molti alti e bassi ma sono felice di come è andata a finire". La nuova era l'ha aperta Thiem, classe 1993: non è un caso perché lui dei classe '90 è il tennista più completo e maturo.

Dominic Thiem avec le trophée de l'US Open 2020

Credit Foto Getty Images

Hai mai provato? Hai mai fallito? Non importa. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio
L'aforisma di Samuel Beckett sembra calzare a pennello per Dominic Thiem. Sono due le condizioni che le persone attraversano quando si cimentano in un'impresa: la voglia di provare e la possibilità di fallire. L'austriaco le ha sperimentate entrambe in diverse occasioni, compreso l'ultimo atto di New York. Aveva giocato tre finali Slam perdendole tutte: la prima al Roland Garros 2018 (tre set a zero da Nadal), la seconda sempre a Bois de Boulogne l'anno dopo (tre set a uno dal solito Rafa), la terza agli Australian Open all'inizio di questo anno così particolare (tre set a due da Novak Djokovic).
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Ha perso, è caduto ancora ma ha saputo imparare da quelle sconfitte. D'altronde, è un'impresa titanica battere gli alieni nella loro casa, ciò che per Nadal rappresenta Parigi (12 titoli) e che per Djokovic fa rima con Melbourne (8 titoli). I tre fuoriclasse che hanno segnato quest'era tennistica nella New York post Covid-19 non c'erano: Federer e Nadal dall'inizio, Djokovic per un'autoeliminazione che rimarrà nei libri di storia. A Dominic Thiem, però, nessuno ha regalato niente: è migliorato, finale dopo finale è cresciuto, tecnicamente e mentalmente, e ha saputo aspettare il suo momento.
Quel giorno è arrivato e il ragazzo di Wiener Neustadt, città della Bassa Austria che sorge a sud di Vienna, nei pressi del fiume Leitha, è il 150esimo giocatore a entrare nell'albo d'oro degli Slam. È il primo classe 1990 a riuscirci, un decennio frenato dall'onnipotenza di tre mostri nati negli anni 80: Roger da Basilea (1981), Rafa da Manacor (1986) e Nole da Belgrado (1987). La nuova era - a cui un giorno ci dovremo in qualche modo abituare - l'ha aperta Thiem, classe 1993: non è un caso perché lui dei classe '90 è il tennista più completo e maturo.
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L'ha dimostrato anche in questo torneo battendo chi prima di lui aveva interrotto la monotonia a Flushing Meadows nel 2014 (Marin Cilic), due giovani di belle speranze (Felix Auger-Aliassime e Alex de Minaur) e il giocatore più caldo degli US Open da due anni a questa parte (Daniil Medvedev). La costanza di Thiem, schiacciato dal peso della prima finale da favorito, non poteva che prevalere sugli acuti, intervallati però da troppe pause, dell'amico Zverev, a cui va riconosciuto comunque un pregio: il rifiuto della sconfitta, ciò che l'ha condotto alla sua prima finale nei major e a un centimetro dal trofeo.
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Mentre la mente è già proiettata al Roland Garros, Dominic Thiem si gode la terza fase dell'aforisma di Samuel Beckett, il coronamento dell'impresa. A furia di provarci e di crederci, il primo austriaco della storia campione all'Open degli Stati Uniti - primo anche a rimontare uno svantaggio di due set a zero nella finale dello Slam americano nell'era Open - è riuscito a raggiungere quel traguardo che inseguiva da tanto, forse troppo tempo.
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