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Tokyo 2020, Basket: Alessandro Pajola, non solo ministro della difesa ma nuovo volto della pallacanestro italiana

Marco Arcari

Aggiornato 17/07/2021 alle 13:41 GMT+2

TOKYO 2020 - Fondamentale al Preolimpico di Belgrado, dopo una stagione coronata con la vittoria dello Scudetto in maglia Virtus Segafredo Bologna, Alessandro Pajola è il nuovo volto dell'Italbasket. Guai a definirlo solamente un "mastino difensivo", perché ad appena 21 anni, Pajola è un giocatore totale, forse un unicum nel ruolo di playmaker.

Stefano Tonut, Alessandro Pajola, Italia, torneo preolimpico di Belgrado 2021

Credit Foto Getty Images

Fondamentale nel Preolimpico di Belgrado. In precedenza, sontuoso per tutta la stagione, tranne nelle occasioni in cui gli infortuni l'avevano costretto al forfait. Adesso, si spera, atleta in più di un'Italbasket che vuole giocarsela contro tutto e tutti, a partire dal Gruppo B contro Australia, Germania e Nigeria. Alessandro Pajola è ormai il volto nuovo della pallacanestro italiana, consacratosi con la vittoria - da protagonista - dello Scudetto con la Virtus Segafredo Bologna, ma in breve diventato anche perno della Nazionale. Ridurlo al mero ruolo di "mastino difensivo" significherebbe fare un grave torto, non solo tecnico, a un atleta che a soli 21 anni si è preso l'Oscar GIBA (Giocatori Italiani Basket Associati) come miglior giocatore della Serie A 2020-21. Se Danilo Gallinari, certo non da solo, rappresenta l'anello di congiunzione tra il precedente ciclo Azzurro e quello inaugurato da coach Meo Sacchetti, Pajola è invece l'emblema di una nuova Nazionale, che non ha intenzione di porsi limiti dopo lo show nel Preolimpico.

L'importanza di Pajola nel Preolimpico

Il 102-95 con cui l'Italia ha battuto la Serbia, padrona di casa, e centrato l'accesso per i Giochi Olimpici di Tokyo ha avuto il sapore, dolcissimo, dell'impresa sportiva. A livello di prestazioni individuali, coach Sacchetti ha potuto attingere praticamente da tutta la rosa (solo Awudu Abass non è mai entrato sul parquet di Belgrado), ottenendo risposte sontuose da ogni Azzurro. Nico Mannion si è confermato giocatore hors categoriè, prendendo in prestito un termine ciclistico, mentre Achille Polonara e Simone Fontecchio hanno mostrato tutti i frutti del lavoro fatto con due santoni del gioco, quali Dusko Ivanovic e Aito Garcia Reneses, rispettivamente allenatori del Baskonia e dell'Alba Berlino. Se però si vogliono analizzare le statistiche, per una volta bisogna partire da un dato negativo: -4, ovverosia il plus/minus (variazione del punteggio con un dato atleta sul parquet) di Alessandro Pajola nella partita contro la Serbia. Mai statistica è stata più falsa. Con Pajola in campo, l'Italia ha assunto una dimensione cestistica diversa, non solo per i 10 punti - comprese due bombe fondamentali - o i 6 assist, ma per la capacità del play di cambiare difensivamente su qualsiasi avversario - aspetto già visto, in maniera esponenziale, nella finale Scudetto contro l'Olimpia Milano - e di mettere in crisi la regia di Milos Teodosic, ancora oggi uno tra i migliori interpreti al mondo nel ruolo di playmaker. Lo stesso Teodosic il quale ha riconosciuto la grandissima serata di Pajola, come confermato da quest'ultimo a Sportweek:
Mi diceva sempre che avrebbe giocato un altro al posto mio nel Preolimpico. Gli rispondevo che con me non sarebbe arrivato a 10 punti. Ci sono riuscito.
Mai come in questo caso, i numeri non dicono davvero nulla di un giocatore. Soprattutto, non raccontano la decisività di Pajola, non solo quale mastino difensivo. Al netto di miglioramenti che qualsiasi atleta deve comunque porsi come obiettivo di base e che, per il giovane azzurro, riguardano soprattutto la continuità al tiro, il 2021 ci ha consegnato un playmaker a 360°. Letture offensive, abilità di passatore, mentalità vincente e abnegazione, tutte caratteristiche che oggi Pajola possiede appieno e che, guarda caso, erano anche alcune delle abbacinanti qualità di Dimitris Diamantidis, modello cestistico dell'anconetano classe 1999. Attualmente, ridurne tutto il potenziale a ministro della difesa, per quanto ruolo imprescindibile nel basket e costellato di esempi vincenti, significherebbe non riconoscere in Pajola qualità ulteriori, apprese per osmosi grazie alla possibilità di essere allenato da uno dei migliori playmaker europei di sempre (Sasha Djordjevic) e di poter condividere il parquet col mago Teodosic.
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Che ruolo avrà alle Olimpiadi

Un punto di forza di questa Nazionale è certamente la versatilità. Giocatori che possono ricoprire più ruoli o, per non risultare anacronistici nello scrivere ancora di ruoli, che possono fare praticamente tutto su un parquet. C'è chi storcerà il naso di fronte a un'idea di quintetto in cui figurino sia Mannion, sia Pajola, ma il ventaglio di opzioni garantito da un backcourt simile è molto intrigante. Indubbiamente, la versione specialista difensivo sarà quella predominante, visto che taglia fisica, velocità laterale e letture, consentono a Pajola di divenire un incubo per qualsiasi creatore di gioco avversario e non solo. A ciò dovrà però aggiungersi la capacità di tutti gli Azzurri nel replicare quella difesa asfissiante, specie sul perimetro, vista contro la Serbia, oltre che l'abilità di chiudere bene il pitturato e non soffrire mismatch fisici, come avvenuto contro Boban Marjanovic per opera di un monumentale Nik Melli.
La consacrazione di Pajola, così come il rendimento di tanti altri azzurri, apre ulteriormente le porte a un interrogativo che da decenni divide gli appassionati: i giocatori italiani sono forti oppure no? E se lo sono, perché non giocano coi club? Lungi da noi fare dietrologie sul perché tanti atleti siano migliorati esponenzialmente dopo aver abbandonato la confort-zone "Italia" ed essere emigrati all'estero, in club magari più strutturati per far crescere giocatori, perché meno sottoposti alla pressione del risultatismo tipico della società sportiva italiana. La realtà del Preolimpico e, ci auguriamo, anche dei Giochi, ci consegna però atleti ben più pronti e performanti di quanto la retorica di chi definisce la LBA quale "campionato scarso, deciso sempre e solo dagli americani" non voglia ammettere. In Italia i prospetti non mancano. Semmai mancano infrastrutture, capitali e possibilità/volontà di lavorarci per trasformarli in giocatori pronti anche per i massimi livelli di competizione (EuroLega su tutti). Pajola, in questo, è un esempio chiave. La Virtus Bologna accettò la scommessa di lavorare su un diamante grezzo del basket italiano, specie per mano di Giordano Consolini, gli diede tempi, luoghi e modi per migliorare i propri punti forza e colmare, ancora non del tutto, le proprie lacune. Oggi, le Vu-Nere passano all'incasso, dimostrando che programmazione e lungimiranza possono fare la differenza.
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