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Italia U21 fuori dagli Europei, le 5 verità del flop. Da Nicolato al sistema, dai giocatori alla Federazione

Carlo Filippo Vardelli

Aggiornato 29/06/2023 alle 13:01 GMT+2

EUROPEI UNDER 21 - Grandissima delusione per l'Italia Under 21 di Paolo Nicolato, che è stata battuta dalla Norvegia nell'ultimo incontro del girone ed è stata eliminata dagli Europei di categoria, oltre a mancare anche la qualificazione alle prossime Olimpiadi di Parigi 2024. Quali sono i motivi di questo ennesimo flop azzurro? Ecco le nostre cinque verità.

Sandro Tonali, Nazionale Under 21, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Grandissima delusione per l'Italia Under 21 di Paolo Nicolato, che è stata battuta dalla Norvegia nell'ultimo incontro del girone ed è stata eliminata dagli Europei di categoria, oltre a mancare anche la qualificazione alle prossime Olimpiadi di Parigi 2024 (è la quarta volta di fila, l’ultima Pechino 2008). Decisivo il gol segnato dal salernitano Erik Botheim a metà del secondo tempo: ad andare avanti assieme alla Francia di Cherki e Caqueret, classificatasi prima, è la Svizzera di mister Patrick Rahmen, che pur perdendo pesantemente per 4-1 contro i transalpini si piazza seconda in virtù della classifica avulsa. Quali sono i motivi di questo ennesimo flop azzurro? Ecco le nostre cinque verità.

Troppa supponenza e vecchi vizi

Partiamo con il dire che l’ultima partita del girone è nata sotto una brutta stella. A livello mediatico e di comunicazione (interna ed esterna), il racconto dominante è stato quello dell’incubo biscotto, del possibile complotto che poteva eliminarci “a distanza”. In pochi, tra addetti ai lavori e tesserati, si sono realmente concentrati sul campo e sul vincere la sfida con la Norvegia. E infatti, anche per colpa di questa cronaca tossica e assolutamente distaccata dalla realtà, la nazionale è scesa in campo senza nerbo, senza cattiveria, senza volontà. Il destino era nelle mani degli azzurrini, con una vittoria avrebbero staccato il biglietto per i quarti di finale; invece a Bucarest ci andrà la Svizzera, che contro l’Italia aveva subito tre gol nel solo primo tempo. Tra l’altro, il biscotto non è mai stato realmente un’opzione per i francesi, che hanno giocato forte e vinto 4-1. L’Italia aveva tutto nelle proprie mani, ma quando manca la testa…

Proposta di calcio antiquata

Passando al campo, poi, in queste tre gare sono emerse tutte le crepe del gioco degli azzurrini. O, per meglio dire, il non gioco. Se al Mondiale U20 abbiamo visto una nazionale italiana aggressiva, cattiva, che provava a fare calcio e spesso ci riusciva, Paolo Nicolato nell’Europeo appena concluso ha riportato le lancette dell’orologio indietro di almeno 20 anni. Attendismo, difesa a oltranza, lanci lunghi, pochi tiri in porta (solo due contro la Norvegia), valanghe di cross, nessuna voglia di dominare la partita: questo modo di giocare, anche nelle categorie inferiori, ormai non paga più. Sì, ogni tanto puoi vincere una partita, magari ti gira bene e superi lo scontro diretto, ma nel lungo periodo sei destinato a capitolare. Questa cosa è lampante da circa dieci anni, ma alcuni dinosauri non se ne sono ancora fatti una ragione. Peccato, abbiamo “sprecato” un’altra opportunità.
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L'espressione contrata di Paolo Nicolato, ct dell'Italia Under 21, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Non ci sono attaccanti

Il miglior realizzatore della storia azzurra è Gigi Riva, che segnato ben 35 gol ma con la nazionale ha smesso nel 1974. Alle sue spalle ci sono Roby Baggio, che ha chiuso la carriera in azzurro nel 2004, e Alex Del Piero, che ha smesso nel 2008. Poi, Pippo Inzaghi che ha smesso nel 2007 e Vieri nel 2005. Sono ormai più di 40 anni che il nostro calcio non riesce a produrre un centravanti di livello mondiale. Siamo passati dalle speranze (in parte) disattese di Mario Balotelli e Alberto Gilardino, ai late bloomer come Luca Toni. Dal mai domo Fabio Quagliarella, alle meteore Graziano Pellè e Simone Zaza. Nessuno, in questi ultimi 15 anni di calcio, è stato in grado di prendersi sulle spalle l’attacco azzurro, e nessuno sembra in grado di farlo nei prossimi anni. Tralasciando Ciro Immobile, che ha segnato tanto ma si avvia verso i 34 anni, a oggi la fiducia verso i Pellegri, Colombo, Cancellieri e Cambiaghi di questo pianeta è ai minimi storici, nonostante siano ancora all’inizio della loro carriera. Stesso discorso per Ambrosino, titolare dell’attacco dell’U20. Non ci sono attaccanti, e il problema è grave. Forse, gli unici che potrebbero emergere sono Kean, Scamacca e Raspadori, ma la loro crescita nell’ultimo periodo ha subito un brusco stop.
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Baldanzi: "L'Italia U20 ha mostrato che i giovani forti ci sono e..."

L’arte della difesa

C’è stato un momento, non molti anni fa, in cui l’Italia poteva vantare tra i suoi titolari Paolo Maldini, Fabio Cannavaro e Alessandro Nesta: tre autentiche leggende. Qualche anno dopo, sempre tra i titolari, gli azzurri schieravano Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci: due califfi della retroguardia. Oggi, guardando le formazioni azzurre anche al piano superiore, il piatto è nettamente più magro. Ma non solo a livello di nomi, anche per quanto riguarda la tecnica difensiva. L’impressione, seguendo le tre partite del girone, è che i ragazzi di Nicolato siano andati in crisi alla prima difficoltà. Okoli che lascia libero Botheim nella partita contro la Norvegia, Udogie che regala il gol del vantaggio alla Francia nel primo match. Nei settori giovanili, molti allenatori hanno dimenticato di insegnare i fondamentali della nobile arte difensiva, e di conseguenza i giocatori escono con un bagaglio tecnico (e mentale) molto limitato rispetto ai coetanei. Poi, di base, paragonare Okoli a Maldini è sempre sbagliato, ma le carenze azzurre anche nel reparto difensivo hanno fatto decisamente spavento.
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La delusione di Raoul Bellanova, Italia Under 21, Getty Images

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Poca voglia di fare sistema

Quando l’Italia si apprestava a seguire le tre finali di Inter, Roma e Fiorentina (rispettivamente in Champions, Europa e Conference League), le teste pensanti all’interno della Lega Calcio coniavano e lanciavano lo slogan “Calcio Is Back”. L’idea originale era quella di avere un motto da appiccicare alla rinascita del football italiano, capace di portare tre squadre in finale nelle coppe europee. Una frasetta che, secondo chi l’aveva pensata, doveva fare breccia in Italia e all’estero, ma che, com’era lecito attendersi, è crollata miseramente. In primis, perché le tre finali sono state perse, anche se quello può succedere, e in secondo luogo perché sarebbe folle guardare a una sola annata per segnare la rinascita di un movimento. In Italia, negli ultimi anni, abbiamo perso due edizioni dei Mondiali, negli Europei di categoria (U21) non raggiungiamo la finale dal 2013, il progetto delle seconde squadre non è mai decollato, Gravina non ha portato nulla di nuovo rispetto a Tavecchio e, per chiudere, ma si potrebbe andare avanti ancora a lungo, l’ultimo campionato Primavera è stato vinto da un Lecce imbottito di giocatori stranieri. Insomma, segnali chiarissimi di una crisi profonda, che però nessuno vuole risolvere. In Italia si guarda solo al proprio orticello, al breve termine, quando invece, per rinascere veramente, si dovrebbe progettare nel lungo. In poche parole: c’è poca voglia di fare sistema e poca voglia di migliorare e crescere, nonostante il movimento stia affondando da almeno 10 anni.
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