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Jannik Sinner vincendo gli Australian Open ha dimostrato di essere pronto, noi italiani lo siamo altrettanto?

Federico Ferrero

Pubblicato 02/02/2024 alle 08:21 GMT+1

TENNIS - Il clamoroso trionfo agli Australian Open di Jannik Sinner ci ha detto che l'Italia e il tennis maschile hanno un giocatore mai visto prima che è pronto a scrivere la storia e a perseguire il sentiero dei fenomeni rimanendo normali, ossia senza fare gli spacconi. Il dilemma semmai è un altro: l’Italia è altrettanto pronta? Il primo riscontro è sostanzialmente negativo...

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Prima di tuffarci nella fiumana del “non ci sono più i valori di una volta” ho fatto un giro nell’emeroteca di alcuni quotidiani e riviste del 1976 e seguenti, l’anno dell’ultimo successo Slam maschile in Italia, firmato Panatta a Parigi – e finalmente Adriano potrà essere, come afferma di volere, lasciato in pace e non costretto a riesumare, come accadeva da mezzo secolo, quella finale, che tra l’altro fu pure una brutta partita, contro Harold Sorcio Solomon.
La buona notizia è che eravamo già così. Anche senza social e smartphone incollati al palmo. Tranquilli, insomma, perché non dobbiamo scusarci di nulla. Il riassunto è questo: Panatta non si allena sull’erba tra Parigi e Wimbledon ma va in barca in Costa Smeralda: e come pensa di vincere, pigliando il sole e mentre cazza la randa? Adriano fa le ore piccole ed è stato paparazzato con Loredana Berté. Polemica del 26 settembre 1977: "Dato che le lire hanno fascino solo se sono molte, i nostri tennisti di Coppa Davis - salvo Barazzutti - vanno a caccia di soldi all'estero: cominciano i campionati italiani a Napoli e Panatta, Bertolucci e Zugarelli non ci sono. Hanno fatto i conti. Anche se ai partecipanti non verrà più corrisposta la tradizionale (e ormai ridicola) diaria giornaliera, sostituita finalmente da un monte premi di dodici milioni, i tre moschettieri del nostro tennis hanno rinunciato lo stesso, dopo aver appreso che al vincitore del singolare maschile andranno 800 mila lire e al secondo 500 mila. Troppo poco per loro. L'avvocato Alfonso Gambardella, presidente del comitato campano della Fit, ha detto che se Panatta dà forfait il motivo è uno solo: ha paura di perdere contro Barazzutti e di rimediare una figuraccia". Lettera di un abbonato al giornale: dice che lui paga un biglietto per vedere una partita, e non accetta che Panatta perda contro un cameriere (andate, se volete, a cercarvi la storia della Davis 1978 e di Peter Szoke).
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Adriano Panatta

Credit Foto Imago

Ci fossero stati Facebook, X e Instagram ogni riga e ogni parola sarebbe stata ritagliata, sparata nell’etere ed esposta alla insopprimibile voglia di Gigino Natuzzo da Forlimpopoli, noto sui social col nome di Jack Mazzaferrata, di dire la sua e di mettersi a litigare con quello che difende la libertà dell’atleta di decidere per sé, e pure col patriota che invece no, i campioni sono esempi e come tali devono rigare dritto, o quell’altro con la foto del gattino Polpetta nel profilo che chiosa che se lui avesse un decimo dei soldi e delle donne di Panatta avrebbe già lasciato mogli, figli e bilocale in affitto in periferia per prendere direttamente la residenza nel locale di Porto Cervo, vestito anche al mattino come Tony Manero.
Sulla scorta di questa premessa rassicurante – se facciamo schifo, lo facciamo da sempre e la tecnologia ci ha solo permesso di dimostrarlo pubblicamente e con estrema facilità – la questione che il clamoroso trionfo degli Open d’Australia di Jannik Sinner pone è: se lui è pronto, noi lo siamo? La prima parte del periodo ipotetico la si può dare per acquisita. Non significa che Sinner vincerà ogni torneo cui sarà iscritto, perché non succederà. Significa, però, che le riserve (legittime) sul lungo respiro dei tre set su cinque negli Slam e sulla concorrenza ancora superanda o superabile (Djokovic, Medvedev, Alcaraz) si sono sciolte al sole di Melbourne. E il tennis maschile italiano ha un giocatore mai visto prima: Panatta, prima di lui Pietrangeli, dopo di lui Berrettini (gli unici a toccare” una finale major) non erano mai i favoriti per ogni titolo Slam in palio. Adriano ha un paio di rimpianti per un ottavo agli Us Open ‘78 ceduto di un soffio a Connors e per una partitaccia persa nei quarti a Wimbledon 1979 contro Pat Du Pré (lo intervistai, qualche tempo fa, per farmi raccontare come era andata) d’accordo. Ma la verità è che non ci andò mai più neppure vicino, a vincere uno Slam. Pietrangeli perse una semifinale a Londra contro Rod Laver al quinto set, Berrettini nel 2021 vinse il primo set della finale contro Djokovic e ha giocato altre due semifinali nei grandi eventi (una persa nettamente contro Rafa a NY, l’altra a Melbourne contro stesso avversario ed esiti simili). Jannik Sinner è tutta un’altra storia, tale sarà per i prossimi dieci anni e tutti se ne rendono perfettamente conto.
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L’onda di entusiasmo, dall’Australia, ha travolto le nostre coste fino all’entroterra: Sinner è diventato ambasciatore dello sport con sigillo ministeriale, Amadeus lo ha invitato a un festival di canzoni pop a ricevere l’applauso degli italiani - perché l’Italia è quel posto in cui i politici decidono le alleanze da Bruno Vespa in Rai e i discorsi sullo stato della nazione si fanno, per somma nostra fortuna, non più dai balconi ma, vai a capire perché, da un vecchio teatro di Sanremo, tra un gorgheggio e le mosse dinoccolate di un tamarro che fa la trap con l’Autotune acceso. Sinner se lo è portato a Palazzo Chigi Giorgia Meloni, con tanto di megaschermo e registrazione, presa da Eurosport, del match point pronto per essere rivisto insieme a lui e ai fotografi in reggimento, bulimici di scatti. Poi l’ostaggio (si scherza, per la carità) è passato al presidente della federazione, che se lo è portato nella nuova e fascinosa sede di via della Camilluccia a Roma nord per un’altra ora di imperdibili domanda&risposta che trasudavano ordinarietà: ho vinto ma è appena l’inizio, sono quello di prima, il mio pregio è il rovescio, sono un ragazzo semplice, il mio team è la squadra ideale, mi spiace per aver incasinato i miei genitori che ora hanno gente davanti a casa tutto il giorno. L’unica domanda un po’ così, per tentare di attizzare un accenno di polemica, gli è stata fatta sulla residenza monegasca e Sinner ha sostanzialmente schivato pure quella, dicendo che il suo ex allenatore (Riccardo Piatti, sparito da ogni citazione e riferimento in una sorta di damnatio memoriae, come se prima del 2022 la vita tennistica del ragazzo fosse stata un buco nero) abitava là e allora ci è andato pure lui, a Monte Carlo si sta bene, ci sono altri giocatori con cui allenarsi e se vai a fare la spesa al supermercato nessuno ti rompe l’anima (implicitamente ammettendo: là sono tutti ricchissimi e famosi, tra pari non ci si pesta i piedi).
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A essere in dubbio, insomma, non è la stabilità di Jannik Sinner. Quando il coach con cui ha lavorato dai 13 ai 20 anni diceva di sé di essere un "monopensiero”, cioè di avere pensieri solo per il tennis, aggiungeva che pure Jannik era come lui. Tennis, e poi tennis. Dopodiché, tennis. Non si corre il pericolo che Sinner venga traviato dal denaro, dalle lusinghe dello show business, dalla Dolce Vita che tra l’altro non esiste manco più. È nato così, i suoi genitori lo hanno educato per andare "da quella parte lì", espressione che usa sovente e che ha fatto sua dal coach comasco con cui ha rotto due anni fa. Quella parte significa il percorso dei fenomeni, Federer, Nadal, Djokovic, quelli mai contenti, mai sazi, sempre motivatissimi a fare un passo in più – e con i mezzi per farlo, altrimenti di campioni Slam ce ne sarebbe qualche migliaio. Restando normali, cioè senza fare gli spacconi, essendo gentili con gli addetti all’ingresso e portando l’acqua alla raccattapalle se si è sentita poco bene, salutando con buongiorno e buonasera, evitando di ostentare i soldi.
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Il dilemma si pone in questi termini: è pronta, l’Italia, al suo Valentino Rossi, al suo Tomba, al suo Totti, o Baggio o scegliete voi chi ma finalmente con una racchetta in mano? Il primo riscontro è sostanzialmente negativo. No. Nulla di male nel voler celebrare un momento di gioia collettiva per il più individuale dei trionfi nel più individuale degli sport; anche perdere un po’ la testa per l’enormità del risultato ottenuto down under è ampiamente giustificato dall’attesa di quasi cinquant’anni e dalla sensazione di avere trovato una Ferrari (quella che vinceva eh) del tennis, un giocatore che permetterà, finalmente, ai tifosi italiani di non dover cercare per forza un idolo straniero – detto che, nel tennis, può capitare anche in presenza di campioni patrii ed è una delle cose belle, per conto mio, di questo sport.
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La figura peggiore, finora, l’abbiamo fatta noi. Sono sicuro che, se la legge lo permettesse, qualche consiglio comunale avrebbe già investito Sinner (lui nolente) della carica di sindaco. So che le case editrici si stanno già scannando per ottenere un accordo per scrivere la sua biografia (adesso?) ma, per fortuna, pare che i riscontri siano stati un gentile no grazie. Se volesse, potrebbe condurre un tiggì, fare il “direttore per un giorno” di un quotidiano (ricordo una roba simile con Jovanotti, anni fa, e fu un esperimento ampiamente dimenticabile), cucinare per tutti a Masterchef anche se il suo piatto forte penso di ricordare siano gli spaghetti col ragù del Conad, tenere una lectio magistralis e acchiapparsi qualche laurea honoris causa. Jannik operaio, Jannik amministratore delegato, direttore, presidente, primo cittadino, suonatore della campanella alla apertura delle contrattazioni in Borsa, cantante, attore protagonista in una serie tivù, tagliatore di nastri e, perché no dai, calciatore del Milan per un giorno, come Goran Ivanisevic dopo Wimbledon 2001, quando lo fecero giocare per qualche minuto in nazionale e fece pure gol in una amichevole con la maglia della Croazia.
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Credit Foto Getty Images

Il senso della misura, che non significa essere grigi e disinnescati ma con il senso della prospettiva degli accadimenti – Sinner si candida a campione tra i più memorabili della storia italiana, non per questo inventerà la fusione fredda – non è la qualità che spicca maggiormente nelle vene della nostra nazione. Se Jannik è fatto, ora si potrebbe pure provvedere – D’Azeglio è morto nel 1866 - a fare gli italiani.
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