Calcio, dopo la Nations League: Italia aggrappata al gioco, in attesa di un "nove"
Pubblicato 11/10/2021 alle 19:56 GMT+2
NATIONS LEAGUE - Il 3° posto non cambia le prospettive dell’Italia. Alla corona europea eravamo arrivati attraverso il gioco e quel pizzico di destino che accompagna gli audaci a scalare i sogni. Non abbiamo le stelle della Francia, né la filosofia della Spagna. Siamo però aggressivi e non più attendisti. Abbiamo costretto la concorrenza, quando ci affronta, a leggerci in maniera diversa.
Le finaline eccitano gli statistici, che possono, così, stilare classifiche più complete, senza assegnare bronzi virtuali alle semifinaliste. Viceversa, sono cordialmente detestate dai diretti interessati al grido: si gioca troppo! Il Belgio, per esempio, aveva mollato Romelu Lukaku ed Eden Hazard, e parcheggiato Kevin De Bruyne oltre ogni ragionevole calcolo.
Il terzo posto nella Nations League, vinta dai solisti di Didier Deschamps, con Paul Pogba su tutti, non cambia le carte e le prospettive dell’Italia. Alla corona europea eravamo arrivati attraverso il gioco e quel pizzico di destino che spesso accompagna gli audaci a scalare i sogni. Solo contro una Nazionale avevamo sofferto: quella stessa Spagna che al Meazza, complice il rosso di Leonardo Bonucci, ha ribadito il suo palleggio e la sua spavalderia (Gavi classe 2004, Yéremi Pino 2002). Abbiamo segnato con un interno (Nicolò Barella, gran gol) e su «rigorino», procurato da Federico Chiesa e trasformato da Domenico Berardi. Gli applausi dello Stadium, persino a Gigio Donnarumma, capitano «alla faccia», confermano come e quanto il ct abbia ben seminato e attorno a questa squadra regni l’allegria. Abbasso la noia. Mancavano i centravanti titolari (Ciro Immobile, Andrea Belotti), la dorsale difensiva (Bonucci & Giorgio Chiellini); e Jorginho, al pari di De Bruyne, era stato inizialmente risparmiato.
Il progetto coinvolge, non esclude. La partita l’hanno fatta gli azzurri, fortunati negli episodi, come documentano le due traverse e il palo degli avversari. Con il pericolo, al momento del gol-bandiera di Charles De Ketelaere, di un improvviso stallo, cancellato dalle staffette. Mi sono piaciuti gli strappi di Chiesa, il secondo tempo di Barella, le cui scelte balistiche non sono mai tirchie, Lorenzo Pellegrini, Manuel Locatelli e, dietro, Alessandro Bastoni. Nonostante le difficoltà spicciole di Giacomo Raspadori e la penuria di bomber capaci di spaccare l’area, viaggiamo alla media di 2,29 reti a gara: 101 in 44. Non sarà la fine del mondo, ma non è neppure poco.
Il Belgio guida il ranking Fifa. L’Italia, quinta, lo aveva già regolato a Monaco di Baviera, nei quarti dell’Europeo: sempre per 2-1. E, nell’edizione del 2016, lo aveva liquidato, all’esordio, anche l’Italia di Antonio Conte: 2-0. Tre indizi fanno una prova: ci soffrono.
Credo che non esitano impegni inutili, al netto dell’etichetta. Aiutano a crescere, se non ci si riduce a venerare i tabellini; o a sbandare, se si traducono alla stregua di banali seccature. Visto il livello medio dei terzini, il recupero di Leonardo Spinazzola si annuncia cruciale. In attesa di Nicolò Zaniolo, Sandro Tonali e qualche traliccio di difesa, per garantire una serena pensione alla ditta Bonucci & Chiellini, il 4-3-3 continua a dettare la rotta. Dalla B, inoltre, prima o poi il commissario butterà un occhio su Lorenzo Lucca, pivot del Pisa, 21 anni e 2,01. Non abbiamo le stelle della Francia, né la filosofia della Spagna. Siamo però aggressivi e non più attendisti. Abbiamo costretto la concorrenza, quando ci affronta, a leggerci in maniera diversa. Il Mondiale in Qatar passa dalla Svizzera, che ospiteremo il 12 novembre a Roma.
Siamo in cima, non in fuga.
ROBERTO BECCANTINI
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